"Ognuno di noi possiede talento innato: pochi possiedono la giusta misura di tenacia, forza ed energia, innate ed acquisite necessarie per diventare effettivamente un talentuoso; questo equivale a dire che si diventa ciò che si è: si sfoga e si esternalizza il proprio talento in opere ed azioni". (Friedrich Nietzsche)

Repubblica VIII Libro - Platone.

Quando un popolo divorato dalla sete di libertà si trova ad aver coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade che i governanti pronti ad esaudire le richieste dei sempre più esigenti sudditi vengano chiamati despoti. Accade che chi si dimostra disciplinato venga dipinto come un uomo senza carattere, un servo. Accade che il padre impaurito finisca col trattare i figli come i suoi pari e non è più rispettato, che il maestro non osi rimproverare gli scolari e che questi si faccian beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti dei vecchi e per non sembrar troppo severi i vecchi li accontentino. In tale clima di libertà, e in nome della medesima, non v'è più rispetto e riguardo per nessuno. E' in mezzo a tanta licenza, nasce, si sviluppa, una mala pianta: la tirannia.

martedì 16 gennaio 2007

Stragi a Bagdad: almeno 85 vittime

articolo dal Corriere.it
16 gennaio 2007
L'Onu: nel 2006 i civili morti in Iraq sono stati 34.452
Due esplosioni hanno ucciso circa 60 studenti che stavano uscendo dall'università. Centinaia i feriti.
BAGDAD - A Bagdad continuano gli attentati e il bilancio complessivo parla di almeno 85 morti in tre diversi episodi: il più grave all'università dove due esplosioni hanno causato 60 vittime e 110 feriti. Due automobili imbottite di esplosivo erano state parcheggiate davanti all'ingresso dell'ateneo Mustansiriyahe. Sono saltate in aria mentre gli studenti, a fine lezioni, guadagnavano l'uscita. Una bomba sul ciglio della strada, è invece esplosa al passaggio di una pattuglia di polizia: ha causato 15 morti e 70 feriti nel centro della città. L'eplosione, avvenuta nel quartiere di Karradah, ha danneggiato anche autombili ed edifici. In un terzo attentato uomini a bordo di tre automobili hanno aperto il fuoco sulla folla in un mercato nella zona nordorientale di Bagdad. Stando a quanto riferito da fonti della sicurezza, almeno dieci persone sono morte e altre sette sono rimaste ferite.
L'ONU: NEL 2006 UCCISI 34.452 CIVILI - Nel 2006, in Iraq, sono stati uccisi 34.452 civili e più di 36mila sono rimasti feriti. Sono le ultime cifre diffuse in una conferenza stampa dall'Onu. Il direttore dell’Ufficio di Assistenza dell’Onu per l’Iraq, Gianni Magazzeni, ha anche aggiunto che le vittime di novembre e dicembre sono state 6.376, di cui 4.731 a Bagdad. Le stime diffuse alcune settimane fa parlavano di oltre 12.000 morti. Alla domanda sul perché di tale divergenza di dati, Magazzeni ha precisato che i dati dell’Onu sono stati ottenuti dal ministero dalla Sanità iracheno, dagli ospedali sparsi nel paese e da altre agenzie. «Senza passi avanti significativi verso lo stato di diritto, la violenza di matrice confessionale andrà avanti a tempo indefinito, rischiando di sfiggire a ogni controllo», ha ammonito Magazzeni.
Oramai l'Iraq è diventato il nuovo Vietnam...purtroppo! Chissà quando gli americani lo capiranno! Quanti civili e militari dovranno morire ancora? Ma l'ONU, L'UE mi dite a cosa servono? Povero mondo....

Base di Vicenza, Amato: «Bisogna dire sì»

Articolo sul Corriere della Sera.it
Prodi: «Daremo risposte a tempo debito». Mastella: «Patti da rispettare»
Il ministro dell'Interno: «L'Italia dovrebbe dare il via libera all'allargamento della base americana»
ROMA - L'ampliamento della base militare Usa a Vicenza, contro il quale martedì sera sfileranno in corteo i comitati locali, si inserisce nella polemica sul presunto anti-americanismo del governo dell'Unione sollevata dal presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Il centrodestra, con diverse sfumature, cavalca l'accusa lanciata nei confronti del premier Romano Prodi e del ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Il presidente del Consiglio prende tempo e da Lubiana fa sapere che l'Italia darà una risposta a Washington «nel tempo dovuto». Il suo braccio destro, il ministro per l'Attuazione del programma, Giulio Santagata, ritiene che l'ampliamento «può essere una buona occasione di sviluppo». FAVOREVOLI - Arriva invece da Dresda l'esortazione del ministro dell'Interno ed ex premier, Giuliano Amato: «L'Italia farebbe bene a dire di sì ad un ampliamento della base Usa a Vicenza perché c'è stato un orientamento già espresso dal precedente governo». Nell'Unione, però, fanno discutere le opinioni del ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro: «Possiamo pretendere che gli americani non utilizzino il territorio italiano come rampa di lancio per aerei diretti a compiere missioni belliche in Iraq, ma non rifiutare l'ampliamento di una base», sono le parole riprese da alcuni quotidiani che fanno infuriare la sinistra radicale. Dall'estero, anche il Guardasigilli, Clemente Mastella, fa sapere che «i patti vanno rispettati e che un no alla base di Vicenza verrebbe interpretato dagli Usa come uno schiaffo in faccia».REFERENDUM Secondo il segretario dei Ds, Piero Fassino, la soluzione migliore sarebbe quella di un referendum «da fare subito» per consultare i cittadini di Vicenza e conoscere la loro opinione. Il leader della Quercia sottolinea: «Spetta al governo decidere su un eventuale ampliamento della base militare di Vicenza. Io ritengo che sia giusto conoscere cosa ne pensano i cittadini vicentini in modo che il governo abbia prima un elemento di valutazione per assumere la sua decisione finale. Per me sarebbe una cosa utile -spiega Fassino- cercare di capire maggiormente cosa ne pensano i vicentini di questa vicenda e sulla base di questo poi decidere.
L'Italia.....manifestare è un diritto legittimo, ma la pancia di noi occidentali (italiani soprattutto) è veramente piena...
Ci sono lavoratori civili all'interno della base americana...vorrei proprio vedere dove andrebbero a lavorare se la base militare chiudesse!!! Non parliamo del guadagno economico che la città vicentina ed in primis il Comune perderebbe... Ma per ogni cosa bisogna protestare in Italia? Non viene in mente a nessuno del perchè la Germiania (contrarissima alla guerra in Iraq) accoglierebbe a braccia aperte questa base? Ma dobbiamo sempre farci fregare dagli altri credendo di essere "dritti"?

lunedì 15 gennaio 2007

CHI E’ PIU’ DI SINISTRA?

Riforme e liberalizzazioni, le vere bandiere
di FRANCESCO GIAVAZZI
Da qualche mese in alcuni supermercati giovani farmacisti vendono medicinali a un prezzo inferiore del 20-30% ai prezzi delle vecchie farmacie di città. Chi è più di sinistra? Chi liberalizza commercio e professioni, o chi consente che le farmacie, così come gli studi notarili, si tramandino di padre in figlio? All'università di Lecce il numero dei dipendenti addetti a mansioni tecniche e amministrative supera il numero degli insegnanti (non è sorprendente dato che lo statuto dell’università prevede che il personale amministrativo abbia il 20% dei voti nell’elezione del rettore). Avendo bruciato tutte le risorse in una dissennata politica di assunzioni, il rettore è stato costretto a sospendere il riscaldamento (nelle aule, non certo negli uffici amministrativi, dove il riscaldamento funziona anche il pomeriggio, quando le stanze sono deserte). Pochi in città sembrano preoccupati dello stato della loro università: i figli della buona borghesia salentina studiano a Bologna, a Torino, a Milano. All'università di Lecce sono rimasti i figli di chi non può permettersi di mandarli al Nord. Chi è più di sinistra? Chi vuole riformare l'università, oppure chi nella Finanziaria ha imposto di stanziare più fondi per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici? In Danimarca prima dell'intervento di varie forme di assistenza pubblica, le famiglie a rischio di povertà sono 32 su 100: l'intervento dello Stato le riduce a 12. Cioè il welfare danese riesce a spostare 20 di quelle 32 famiglie fuori dall'area a rischio. In Italia le famiglie vicine alla soglia di povertà sono 22, ma lo Stato riesce ad aiutarne solo 3. Chi è più di sinistra? Chi vuole riformare alle radici il nostro sistema di welfare , nell'interesse dei poveri e dei giovani, oppure chi pensa che la riforma delle pensioni non sia urgente e difende i fortunati che hanno un lavoro a tempo indeterminato e vanno in pensione prima dei sessant'anni? Concorrenza, riforme, merito dovrebbero essere le bandiere della sinistra radicale; questa invece, opponendosi alle riforme, finisce per difendere i privilegi. Non mi stupisce che il governo di centrodestra non abbia varato una sola liberalizzazione, né inciso su alcun privilegio: era stato eletto per conservare lo status quo e lo ha fatto. Ma non comprendo come lo stesso possa avvenire con un esecutivo di centrosinistra. Una società in cui c'è scarsa concorrenza, in cui nell'impiego pubblico (oltre il 10% di tutti i posti di lavoro) si fa carriera per anzianità e non per merito, è una società in cui il futuro finisce per essere determinato dal censo: proprio ciò contro cui si batte la sinistra. Alcuni (ad esempio Barbara Spinelli su La Stampa ) pensano che a Caserta riformatori e liberalizzatori abbiano fallito perché chiedevano all'ala sinistra del governo di rinnegare la propria storia. E' esattamente il contrario: hanno fallito perché non sono stati capaci di spiegare che le riforme sono «di sinistra» e la conservazione dei privilegi «di destra». Nei prossimi giorni i presidenti di Camera e Senato dovranno nominare due nuovi membri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La storia politica di Franco Marini e Fausto Bertinotti non lascia dubbi sul loro impegno contro i privilegi, a favore dei più deboli, dei meno fortunati. Mi attendo quindi che nominino persone il cui curriculum e i cui scritti non lascino dubbi sul fatto che esse siano pronte a sostenere la battaglia coraggiosa che il presidente Catricalà sta combattendo contro i molti potenti che ostacolano la concorrenza: banche, assicurazioni, imprese elettriche e del gas, professionisti ed enti locali.
Solo con Riforme adeguate e senza guardar in faccia nessuno la nostra nazione avrà la sua "CRESCITA".....diceva bene un politico (di cui purtroppo non ricordo il nome) le Riforme vanno fatte ed il plauso lo avrà chi governerà in futuro questo paese, ma non noi...ma fa niente perchè è giusto così!!!
Io penso che se ciò avvenisse in Italia sarebbe veramente un qualcosa di INCREDIBILE... e di STORICO!!!

Ricerca, quei 340 milioni pronti e mai usati

Pochi finanziamenti? Ma tra sprechi e ritardi si perdono i fondi che ci sono.
di SERGIO RIZZO e GIAN ANTONIO STELLA

ROMA - Chi la strangola, la Ricerca? Ecco il nodo, scusate il bisticcio, di quello che è diventato uno dei tormentoni italiani. E c’è chi dice che è tutta colpa della sinistra e chi della destra, chi di Letizia Moratti e chi di Fabio Mussi, chi della penuria di soldi, chi dello spreco di quelli che ci sono. Fatto sta che manca l’impronta digitale del colpevole anche sui due episodi più controversi: il taglio del 37% dei fondi per i cosiddetti Prin e l’evaporazione, diciamo così, di 340 milioni di euro. Una somma enorme, con questi chiari di luna. «Sprecata» per l’indecisione, i contrasti, i tempi eterni della macchina burocratica e politica. Prendete il taglio. Sono anni che si riempiono la bocca con «la ricerca, la ricerca, la ricerca!» e cosa esce dalle tabelle? Che in settori come la matematica o l’ingegneria industriale i finanziamenti sono stati segati del 45%. Che in altri come la fisica, la biologia o la medicina, del 33%. Che il taglio medio è, appunto, del 37%. Con un crollo dei fondi a disposizione: da 130.700.000 a 82.113.000 euro. Dirà la destra: ecco, la solita sinistra che prima sbandiera la sua dedizione alla cultura e poi va a segare sempre lì, dove accusava di segare noi. Dirà la sinistra: no, la procedura dei Prin (i Programmi di ricerca di interesse nazionale) è tale che di fatto, emesso il bando e avviato l’Iter, tutto finisce per slittare di un anno col risultato che di fatto il taglio del 37% non l’ha deciso Prodi con la finanziaria 2007 ma Berlusconi con quella del 2006. Controreplica: fatto sta che il successore poteva dare un segnale e non l’ha dato, confermando i tagli morattiani. Rissa. Non meno confusa, stando alle due contrapposte fazioni, è l’impronta digitale di chi ha «sprecato», almeno per ora, la bellezza di 340 milioni di euro. Soldi assegnati in due riprese al Miur, il ministero dell’università e della ricerca, dalle Attività Produttive, usando provviste del Fondo aree sottoutilizzate. Il primo pacco di soldi, 260 milioni di euro per «progetti finalizzati al potenziamento dei centri di ricerca e alla promozione dell’alta formazione», era stato stanziato con una delibera del Cipe nel 2003. Il secondo, 140 milioni per i «distretti tecnologici», era stato deliberato nel 2004. Era però stata data al Miur una scadenza: il denaro andava impiegato entro il 2006. Macché: agli sgoccioli dell’anno appena concluso, risultavano spesi della prima tranche solo 20 milioni e della seconda solo 40. Fatte le somme, erano inutilizzati 240 più 100 milioni di euro. Che il Cipe, con un atto varato il 22 dicembre e passato inosservato agli occhi degli italiani distratti dal Natale, ha «disimpegnato». Cioè ha riposto nelle casse del Tesoro. In attesa di nuovi progetti, nuove scelte politiche, nuovi stanziamenti. E nuove polemiche. La destra, per dire, accusa Mussi e la sinistra d’aver affossato (per ora) l’ambizioso progetto del Ri.Med, l’istituto per le Biotecnologie e la medicina che doveva nascere con 300 milioni, di cui 30 già stanziati nel maggio 2005 dal Cipe, a Carini, vicino a Palermo. A gestirlo sarebbe stata una Fondazione costituita dal governo italiano, dalla Regione siciliana, dal Cnr e dall’Università di Pittsburg. Ateneo americano già attivo nella sanità siciliana attraverso una quota del 45% nell’Ismett, l’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie di cui sono soci anche l’Azienda di Rilievo Nazionale di Alta specializzazione Ospedaliera (in pratica: Regione Sicilia, col 35%) e l’ospedale Cervello di Palermo (20%). La sinistra (con le voci dissonanti di Umberto Veronesi, Dario Fo o Franca Rame, favorevoli al Ri.Med) risponde chiedendo tempo per un riesame, accusando la destra di aver fatto un’operazione elettorale dato che il progetto fu presentato da Gianfranco Micciché il 4 aprile, all’immediata vigilia delle politiche e ricordando come nella storia ci fossero dettagli che non quadravano. Ma ancora più controverso, forse, è il braccio di ferro sul Cnr. Dove Fabio Pistella, il presidente insediato dalla Moratti nel 2004, è alle prese da mesi con una rivolta dei direttori (o dei facenti funzione) dei 107 istituti. Direttori che Pistella avrebbe voluto almeno in parte (cioè in 89 casi) sostituire dando vita a bandi internazionali. Dicono i «ribelli» che è ora di smetterla coi «manager» digiuni di scienza piazzati alla direzione di organismi delicati quali il Consiglio nazionale delle ricerche e che, per usare le parole del fisico Luciano Pietronero, occorre «trovare una soluzione bipartisan nella scelta dei responsabili degli istituti di ricerca, sennò a ogni cambio di governo c’è un sovvertimento». Rispondono dall’altra parte che quella dei direttori è una trincea corporativa scavata per difendere spesso vecchi baroni legati da una eternità alle loro poltrone. Qualche numero? Su 107 direttori, 32 hanno più di 67 anni (uno ne ha 79), l’età più frequente è 68 anni e solo 14 ne hanno meno di 55. Non bastasse, una trentina sono contemporaneamente (miracolo dell’ubiquità) docenti a tempo pieno in qualche ateneo e direttori a tempo pieno al Cnr. Non bastasse ancora, 59 occupano la loro posizione da più di dieci anni e di questi 29 sono imbullonati da oltre 17 anni, tra cui 16 addirittura da più di 20. Col risultato di portare forse esperienza, ma certo non quella freschezza che hanno organismi simili all’estero. Tema: chi ha ragione? I vertici che invocano un radicale ricambio generazionale o i direttori che definiscono inaccettabili certi metodi vissuti come un repulisti ordito da burocrati estranei ai problemi della ricerca? Nell’attesa, Fabio Mussi ha deciso di congelare tutto per sei mesi. Prorogando automaticamente gli incarichi (tra cui quello di Franco Prodi, cosa che ha sollevato a destra strilli di indignazione nonostante il fratello del Premier goda di buona fama internazionale) e rinviando i concorsi a data da destinarsi. Tanto più che i «ribelli» avevano presentato una serie di ricorsi al Tar contestando tra l’altro non solo il criterio dell’individuazione d’una terna per ogni posto ma anche il limite massimo per concorrere, fissato a 67 anni. Troppo basso, dicono. E dal loro punto di vista vanno capiti: perché mandare in pensione dei giovanotti solo un po’ raggrinziti? Un ricercatore, Paolo Rossi, ha studiato le carriere di tutti i docenti pisani dal 1965 in qua. Bene: dei 744 ordinari, quelli entrati di ruolo nel 1966 avevano mediamente meno di 34 anni, quelli entrati nel 2003 ne avevano oltre 54. E non troppo diversi sono i dati per gli associati e i ricercatori. In pratica, gli ordinari si sono insediati con un’età media più alta di 5 mesi per ogni anno che passava. Avanti così, fra un paio di decenni andranno in cattedra i nonnetti. Dopo di che, si chiede Rossi, come faranno ad accumulare i 20 anni di ruolo per diventare «professori emeriti», se saranno avviati alla pensione subito dopo l’agognata promozione?
Sergio Rizzo
Questa è l'Italia di sempre, di ogni anno, mese e giorno.....bisogna sempre aspettare, aspettare, aspettare....senza poi alla fine cambiar nulla!!! RIFORME? Ma quandooo????

mercoledì 3 gennaio 2007




Il silenzio dell'innocenza.


Somaly Mam


(Corbaccio 2006)


Nata nel piccolissimo villaggio di Bou Sra, nella campagna cambogiana, circa trent'anni fa, Somaly Mam viene picchiata, sfruttata come una schiava, violentata, venduta, picchiata, e infine finisce in un bordello, dove la sua vita di bambina prima e adolescente poi va avanti tra stupri, torture e una processione interminabile di clienti, cambogiani e stranieri, da soddisfare senza alcuna discussione, come un oggetto senza anima e senza diritti. Fino al controverso rapporto con uno straniero dal carattere impossibile di nome Pierre, un uomo che Somaly non ama ma che potrebbe salvarla...Una testimonanza agghiacciante, mostruosa, una vergogna incancellabile per tutto il genere maschile: ecco cos'è questo libro indimenticabile, un reportage indimenticabile e violentissimo in diretta dall'inferno. Ma il messaggio di Somaly Mam è anche un messaggio di speranza, perché la donna insieme al marito Pierre Legros ha creato nel 1997 un’associazione no-profit, la AFESIP (Agir pour les femmes en situation précaire) che dalla Cambogia, dove ha la sede principale, si è rapidamente sviluppata in Tailandia, Vietnam e Laos ed è riuscita a salvare dal loro terribile destino migliaia di prostitute-bambine.



L'Intervista a Somaly Mam vuole spiegare al pubblico quale attività svolge esattamente l'AFESIP? Si occupa di salvare le vittime del mercato della prostituzione asiatica, liberare le giovanissime dai bordelli e fornire loro un'assistenza molto articolata. Assistenza sociale, psicologica, medica, legale e scolastica organizzando corsi di formazione professionale. L'AFESIP segue da vicino il reinserimento delle ragazze assistite, si tratta di un percorso complesso che dura circa tre anni.


Pensa che porterebbe avanti la sua opera di assistenza alle giovani prostitute con la stessa energia se non avesse vissuto lo stesso dramma in passato?Non credo che ce l'avrei fatta senza questa rabbia, no.Scrivere questo libro è stata un'esperienza orribile perché - come lei stessa spiega - la memoria è dolore.


Ma ora che l'ha scritto si sente un po' come se si fosse tolta un peso, più leggera?No, adesso semmai è anche peggio.Una delle cose più terribili del suo libro è il ritratto della cultura cambogiana, davvero tremendo e impietoso.


Quale speranza c'è per questo Paese?Spero proprio che il mio Paese abbia una speranza. La situazione in Cambogia si sta sviluppando, evolvendo. Siamo persino riusciti a fare pressione e far approvare una legge sulla violenza domestica che consideriamo una grande conquista di civiltà.


Negli ultimi anni lei ha incontrato molti potenti della Terra, è stata candidata al Nobel per la Pace e ha informato milioni di persone sulla terribile situazione che vivono queste ragazze. Perché allora questo orrore non finisce mai? Cosa serve per risolvere il problema una volta per tutte?Questa domanda andrebbe fatta ai potenti della Terra. Sono loro a mettersi la maschera, a dire che tutto cambierà e poi a non muovere un muscolo in questo senso. Nemmeno io riesco a capire fino in fondo perché lo fanno.

Penso che il libro di questa donna vada letto con molta attenzione!!!

L'ho trovato un libro molto interessante in cui capisci che ogni giorno ognuno di noi ha dei problemi, ma ci sono nazioni nel mondo come la Cambogia dove i nostri problemi sono pari a zero per non dire sottozero.... E' incredibile come questa donna lotta contro gente che si dovrebbe vergognare d'esistere!!!

Mi auguro che ognuno di noi possa nella vita aiutare qualcuno che ha più problemi di noi, in qualsiasi modo ed in base alle proprie possibilità.













martedì 2 gennaio 2007

Nuovi genocidi vecchi criminali.

Di Antonella Randazzo per Disinformazione.it

Sono stati condannati a morte nel settembre del 2003. Si tratta di un popolo intero, fatto di bambini, uomini, donne e vecchi: gli Anuak della regione di Gambella (Etiopia). La loro colpa? Vivere in una regione ricca di oro e di petrolio. Nemmeno i migliori servizi giornalistici sull'Africa dicono che i genocidi dei popoli africani vengono pianificati dai governi fantoccio, eppure spesso è così. Il caso degli Anuak non è certo l'unico, basti ricordare gli Ognoni della Nigeria, i Fur del Dalfur o i Pigmei di etnia Baka. L'accanimento contro gli Anuak è iniziato alla fine del 1979. Quell'anno, le terre degli Anuak furono confiscate, per costringere la popolazione ad arruolarsi forzatamente o al lavoro coatto nelle fattorie. Gli Anuak cercarono di scappare, ma molti furono uccisi o arrestati.
Per attuare il genocidio sono stati assoldati eserciti definiti impropriamente di "difesa". In Etiopia è stata creata la milizia del Fronte di Difesa Rivoluzionario Popolare Etiope (Eprdf), incaricata di uccidere impunemente e di praticare ogni sorta di violenza. Nel febbraio del 2004, il giornalista Keith Harmon Snow[1] scrisse un rapporto in cui provava che l'Eprdf aveva massacrato migliaia di Anuak, su ordine del governo del ministro Meles Zenawi. Nel settembre del 2003, il governo Zenawi si era riunito per discutere l'eliminazione degli Anuak, considerati un intralcio dalla Halliburton Company, che sfrutta il petrolio del bacino dell'Ogaden, e dalla Canyon Resources, che estrae oro dalle miniere etiopiche. Snow sostiene senza ombra di dubbio che le autorità americane sono al corrente del genocidio che si sta attuando nella regione di Gambella, e che forniscono armi e addestramento militare agli assassini. L'Operazione è chiamata in codice "Operation Sunny Mountain" (Operazione montagna assolata).
Come al solito, viene dapprima creata una "motivazione". Il 13 dicembre del 2003, vengono misteriosamente assassinati otto funzionari dell'Onu. Senza alcuna prova, la responsabilità cade proprio su chi si vuole sterminare. L'Eprdf scatenò la violenza massacrando, saccheggiando e incendiando i villaggi degli Anuak. I morti sono stimati nell'ordine di alcune migliaia, ma non esistono cifre precise. Il governo cerca di spacciare il genocidio per "lotta tribale", ma a oggi non ci sono prove che ad uccidere gli Anuak siano i vicini Nuer, mentre ci sono numerose prove sulle responsabilità dell'Eprdf e del governo.
Le milizie seminano terrore su tutta la regione di Gambella. Gli obiettivi principali sono anche gli intellettuali e gli studenti che si oppongono alle violenze. Nel periodo 2003/2004, centinaia di persone sono scomparse nel nulla. Nel novembre del 2004, 2500 Anuak sono stati uccisi, e migliaia di persone sono state arrestate o deportate. Molte donne Anuak subiscono stupri con la minaccia delle armi. Un rapporto dell'Human Rights del 2004 sostiene che durante il 2003 molte donne Anuak hanno subito violenze da parte di soldati dell'esercito. Il governo, nonostante le denunce, non ha mai aperto alcuna inchiesta.
Gli Anuak costituiscono il 2% della popolazione etiopica, comprendendo circa 1.500.000 persone. La popolazione di Gambella, che comprendeva 50.000 persone, oggi è scesa a 35.000 persone. Gli Anuak cercano di mettersi in salvo rifugiandosi nei campi profughi del Sudan o del Kenya, dove attualmente si troverebbero almeno 8000 Anuak. Le violenze hanno causato la distruzione dei raccolti e quest'anno una grave siccità ha colpito l'intera regione, costringendo molte persone a spostarsi. Attualmente, in Etiopia, 8,78 milioni di persone sono malnutrite e di questi, 1,6 milioni sono bambini con meno di 5 anni d'età.[2] Nel 2005 e nel 2006 le repressioni sono continuate. Sono state torturate diverse persone che avevano denunciato i brogli elettorali alle elezioni del 15 maggio 2005. In seguito alle proteste popolari, sono stati costruiti alcuni campi di prigionia ad Addis Abeba, in cui si trovano almeno 15/20.000 persone.[3] Fra i detenuti ci sono diversi giornalisti, intellettuali e militanti per i diritti umani.
Gli Stati Uniti chiamano tutto questo "guerra al terrorismo" e hanno dato al governo etiopico, tra il 2000 e il 2004, almeno 80 milioni di dollari. Inoltre, le autorità Usa hanno addestrato 4000 soldati etiopici nei programmi Imet e Foreign Military Sales and Deliveries. Washington ha coinvolto l'esercito etiopico anche in altre operazioni di addestramento definite di "peacekeeping", pur sapendo assai bene che la violenza sarà rivolta contro la popolazione civile.
[1]World War Report, n. 97, aprile 2004, "State Terror in Ethiopia: Another Secret War for oil". [2] Fonte: Unicef, http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2068[3] Misna, 28- 12- 2005.
La cosa brutta è capire in che schifo di mondo viviamo....la furbizia, l'arroganza, lo sfruttamento, la sete di potere ecc.. Io credo che ci sono tanti africani che ci sanno fare, che hanno cultura, ma purtroppo ci sono quelli (come parecchi governanti africani) che si fanno corrompere dalle multinazionali ed altri che vengono arrestati se si ribellano, ma vengono incarcerati oppure uccisi. L' Africa ha enormi risorse nel sottosuolo...come fa ad essere ancora povera? Uomini africani inteliggenti ci sono, ma esiste ciò che ho detto prima e purtroppo i risultanti sono sempre negativi... POVERO MONDO.....POVERA AFRICA......E NON SOLO!!!

domenica 31 dicembre 2006

I docenti pubblici e l'affare delle lauree online

Il boom conquista anche professori celebri.
Undici le università su Internet e dietro l'ultima nata si nasconde il Cepu Slogan ingannevoli e denunce.

«Dottor Figus, lei dove ha studiato?». «Al Cepu». «Chiaro! Come mai non si sveglia, il paziente?» La scenetta di Tel chi el telùn era solo una delle tante in cui Aldo, Giovanni e Giacomo hanno scherzato per anni sul più famoso centro che «aiuta» gli studenti a studiare. Anche nell'ultimo film dei tre, Anplagghed, i protagonisti sono «un robot, un terrone e un ingegnere positronico laureato al Cepu». Un gioco: non ci si laureava, lì. Fino a ieri, però: dietro una delle 11 università telematiche autorizzate da Letizia Moratti, alcune un attimo prima di lasciare il ministero, c'è infatti (sorpresa!) anche una creatura clonata dalla società diventata celebre grazie a un martellante spot con Alex Del Piero. Che tra poco, se il ministro Fabio Mussi non si metterà di traverso, potrà finalmente far tutto in casa: lauree comprese. Capiamoci: non è che il Cepu sia il primo centro del genere a portare a compimento il «ciclo produttivo». L'aveva già fatto «Universitalia», che campeggia su Internet e sui giornali con slogan che ricordano i «sette chili in sette giorni». Questo diceva infatti uno spot: «Dieci esami in dieci mesi!» Poi corretto (massì, abbondiamo) in un trionfante: «Undici esami in dieci mesi!». Per essere ancora più «gajarda», la home-page del sito mostra anzi una bella ragazza che impugna bellicosamente i guantoni e colpisce con un sinistro la scritta: «Esami, usa il metodo forte». Il tutto in linea con uno dei protagonisti, Stefano Bandecchi, ex paracadutista, amministratore unico della Edizioni Winner che della Universitalia è azionista al 50%. Metodi forti, metodi spicci. Basti ricordare che poche settimane fa Sara Nardi, una dei responsabili dell'istituto, è stata rinviata a giudizio dal pm romano Giuseppe Corasaniti per aver ingannato una ragazza con la proposta contrattuale «soddisfatto o rimborsato». Seccante. Come seccante fu il coinvolgimento due anni fa nell'inchiesta della procura di Verona su un giro di "diplomi facili", di Alfredo Pizzoli, oggi amministratore unico dell'Isfa, uno dei soggetti che controllano il Consorzio Risorse Umane, da cui è stata originata, appunto, la Unisu: Università telematica delle Scienze umane. Tutto corretto? Sotto il profilo legale magari sì. Ma anche uno dei docenti, Giuseppe Castorina, ordinario di Inglese alla Sapienza e presidente del comitato tecnico organizzatore dell'ateneo, ha detto al Corriere dell'Università e del Lavoro: «Sapevo che Winner fosse tra i finanziatori del Consorzio ma non che Winner fosse anche Universitalia. Il conflitto d'interessi? Indubbiamente la situazione è equivoca». Dotata di un comitato tecnico organizzatore presieduto da Umberto Margiotta, ordinario di pedagogia alla Ca' Foscari, la Unisu ebbe il via libera dalla Moratti il 10 maggio scorso, un mese dopo la sconfitta della destra e pochi giorni prima che Letizia passasse le chiavi del ministero al successore. Nella banca dati del ministero, per quanto quei numeri vadano presi con le pinze, non risulta avere neppure un docente di ruolo. Zero carbonella, per dirla alla romana. Le facoltà tuttavia sono quattro: Giurisprudenza, Economia, Scienze politiche e Scienze della formazione. Un miracolo? No. Almeno sulla carta. Nell'Università italiana (a differenza che negli ospedali) non esiste infatti alcuna norma che regoli le pretese di un docente di un ateneo pubblico di lavorare anche per uno privato. Certo, Mussi ha già annunciato di volere cambiare al più presto queste regole perché «non sta né in cielo né in terra che un dirigente della Fiat possa lavorare anche per la Renault o la Bmw». Ma per adesso la situazione è questa: centinaia di docenti sono a carico dello Stato (dallo stipendio agli assegni familiari, dalle ferie ai contributi pensionistici per una media da 150 a 180 mila euro l'anno lorde, un ordinario) come dipendenti pubblici e arrotondano con le accademie private. In particolare le telematiche. Una delle quali, la Uninettuno, che peraltro passa per essere una delle più serie (Economia, Giurisprudenza, Ingegneria, Lettere e Psicologia e un assetto societario che vede in prima fila il Consorzio Nettuno di cui fanno parte anche l'ex ministro dell'Istruzione Giancarlo Lombardi e l'ex direttore generale della Rai Franco Iseppi) ha un docente pubblico addirittura come rettore: Amata Maria Garito. Ordinaria di psicologia alla Sapienza e grande amica di Prodi, che proprio a casa sua attese il 10 aprile i risultati elettorali.
Il fatto è che nell'affare delle università telematiche hanno tentato di buttarsi in tanti. Ovvio: gli studenti fanno tutto in Internet (lì scaricano le lezioni registrate dei docenti, lì trovano le esercitazioni da fare, lì partecipano ai forum didattici, lì "chattano" con la controparte) e possono teoricamente vedere questo o quel «prof.» solo il giorno dell'esame. Quindi basta una sede neppure troppo grande, un po' di professori part-time, uno staff che abbia dimestichezza con Internet ed è fatta. Senza alcuna necessità di investire decine di milioni di euro. Ed ecco la Telematica universitas mercatorum, costituita a novembre del 2005 per iniziativa dell'Unioncamere (Presidente è Andrea Mondello, che guida l'associazione): una facoltà (Economia) e due corsi di laurea triennale, Management delle risorse umane e Gestione d'impresa. E poi la Pegaso (due facoltà, Giurisprudenza e Scienze umanistiche, zero docenti di ruolo in banca dati) che ha come azionisti Danilo, Raffaele e Angelo Jervolino, che già hanno interessi in vari istituti scolastici privati partenopei. E poi la Giustino Fortunato (solo Giurisprudenza, nessun docente di ruolo in banca dati) che fa capo alla fondazione Efiro di Benevento, presieduta da Angelo Pasquale Colarusso, già noto nel Sannio per una scuola privata che da molto tempo aiutava nelle rimonte scolastiche. E poi ancora la Leonardo da Vinci, zero docenti di ruolo (per la banca dati), tre facoltà (Scienze dei Beni culturali, Scienze della Formazione e Scienze manageriali) e un legame strettissimo con l'Università Gabriele D'Annunzio" di Chieti-Pescara (nota anche per un gran numero di speedy-lauree) il cui patriarca indiscusso è Franco Cuccurullo, ex-presidente del Comitato etico nazionale nominato da Rosy Bindi per esaminare il protocollo Di Bella, presidente del Comitato di indirizzo di valutazione sulla ricerca e futuro presidente dell'Istituto Superiore di Sanità. E poi ancora la Unitel (zero docenti fissi in banca dati, tre facoltà: Agraria, Architettura e design industriale e Scienze motorie ma con un solo corso di laurea attivato: design della moda) che appartiene a una società di cui fanno parte la Fondazione Renato Dulbecco (28%), l'Associazione centro interdisciplinare studi biomolecolari (12%), Mediolanum comunicazione (8%), Fininvest Servizi (8%) e sbloccata dalla Moratti l'8 maggio scorso, nove giorni prima che si insediasse il nuovo governo. Per finire con la Iul (ancora zero docenti ufficiali, una facoltà, proprietà di un consorzio con l'Università Bicocca di Milano, l'Università di Firenze, di Macerata, di Palermo e la Lumsa…), la Tel.Ma. (un docente di ruolo, Donato Limone, e due facoltà, voluta a quanto pare dal Formez e dall'Anci).
Voi chiederete: ma perché questa corsa? Il miele che attira le api, quelle buone e quelle meno buone, è la possibilità di rastrellare una quantità mai vista prima di «aspiranti dottori». Merito di quella riformetta che permette un po' a tutti di «mettere a frutto il proprio lavoro». Facendosi riconoscere, sulla base dell'esperienza accumulata come ragionieri o guardie forestali, giornalisti o vigili del fuoco, impiegati catastali o brigadieri dei carabinieri, una gran quantità di crediti formativi universitari (fino a 140, prima che Mussi imponesse un tetto massimo di 60 su 180) così da poter puntare a una laurea con pochi esami. È vero: l'hanno fatto un sacco di atenei, anche tra quelli additati come «più seri». Ma alcuni ci hanno dato dentro alla grande. Come la telematica «Marconi», che risulta avere fatto la bellezza di 30 bandi di gara per docenti ma di averne a carico due soli: il ricercatore Umberto Di Matteo (nemmeno confermato, pare) e l'ex senatore democristiano e poi aennino Learco Saporito, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Berlusconi. Rettore: Alessandra Spremolla Briganti, fino a qualche mese fa ordinario a Roma Tre. Proprietà: la Fondazione Tertium. Facoltà: Lettere, Giurisprudenza, Economia, Scienze e tecnologie applicate, Scienze della formazione, Scienze sociali. Amatissime, stando alla raffica di convenzioni sbandierate su Internet, da un sacco di associazioni di categoria. «Avevamo la fila alla porta di gente che voleva laurearsi e ci proponeva mille o duemila iscritti a botta», spiega Francesco Paravati, responsabile del marketing della Uninettuno che quasi si vanta di avere solo 600 iscritti contro gli oltre quattromila della Marconi. Il delegato di un gruppo di agenti di custodia, racconta, "arrivò a dire chiaro e tondo: la laurea ci serve solo per passare di grado. Non daremo fastidio a nessuno, non faremo danni usandola. Le altre ci riconoscono cento, centodieci crediti… Perché voi no?».
Restava il giallo su chi stesse dietro l'undicesima università telematica, la E-Campus, approvata il 30 gennaio scorso. Di chi poteva essere? E perché la proprietà aveva ritenuto opportuno starsene nell'ombra dietro due finanziarie? Finché, passin passino, siamo arrivati a capo del mistero: dietro c'è, come dicevamo all'inizio, il gruppo di Francesco Polidori, fondatore del Cepu. Come mai tanta riservatezza? Chissà, perché forse qualcuno al ministero avrebbe potuto ricordare non una ma quattro sentenze dell'Autority per pubblicità ingannevole. L'ultima è di tre anni fa.
Gian Antonio Stella (Giornalista del Corrire della Sera)
Ecco perchè in Italia stanno aumentando i competenti (in senso prettamente ironico)....Grazie a CEPU, UNIVERSITALIA ed altre...come diceva un mio carissimo amico: (mi si scusi il modo ma, I fatti parlano e la merda vola...). L'Italia finirà allo scatafascio totale!!! Non ci sono organi che controllano e se ci sono mi vien da pensare che ci guadagnano pure loro....
Pensar bene è lecito, ma a Pensar male ci si azzecca sempre. Un qualcosa di simile lo diceva Andreotti.