"Ognuno di noi possiede talento innato: pochi possiedono la giusta misura di tenacia, forza ed energia, innate ed acquisite necessarie per diventare effettivamente un talentuoso; questo equivale a dire che si diventa ciò che si è: si sfoga e si esternalizza il proprio talento in opere ed azioni". (Friedrich Nietzsche)

Repubblica VIII Libro - Platone.

Quando un popolo divorato dalla sete di libertà si trova ad aver coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade che i governanti pronti ad esaudire le richieste dei sempre più esigenti sudditi vengano chiamati despoti. Accade che chi si dimostra disciplinato venga dipinto come un uomo senza carattere, un servo. Accade che il padre impaurito finisca col trattare i figli come i suoi pari e non è più rispettato, che il maestro non osi rimproverare gli scolari e che questi si faccian beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti dei vecchi e per non sembrar troppo severi i vecchi li accontentino. In tale clima di libertà, e in nome della medesima, non v'è più rispetto e riguardo per nessuno. E' in mezzo a tanta licenza, nasce, si sviluppa, una mala pianta: la tirannia.

domenica 31 dicembre 2006

I docenti pubblici e l'affare delle lauree online

Il boom conquista anche professori celebri.
Undici le università su Internet e dietro l'ultima nata si nasconde il Cepu Slogan ingannevoli e denunce.

«Dottor Figus, lei dove ha studiato?». «Al Cepu». «Chiaro! Come mai non si sveglia, il paziente?» La scenetta di Tel chi el telùn era solo una delle tante in cui Aldo, Giovanni e Giacomo hanno scherzato per anni sul più famoso centro che «aiuta» gli studenti a studiare. Anche nell'ultimo film dei tre, Anplagghed, i protagonisti sono «un robot, un terrone e un ingegnere positronico laureato al Cepu». Un gioco: non ci si laureava, lì. Fino a ieri, però: dietro una delle 11 università telematiche autorizzate da Letizia Moratti, alcune un attimo prima di lasciare il ministero, c'è infatti (sorpresa!) anche una creatura clonata dalla società diventata celebre grazie a un martellante spot con Alex Del Piero. Che tra poco, se il ministro Fabio Mussi non si metterà di traverso, potrà finalmente far tutto in casa: lauree comprese. Capiamoci: non è che il Cepu sia il primo centro del genere a portare a compimento il «ciclo produttivo». L'aveva già fatto «Universitalia», che campeggia su Internet e sui giornali con slogan che ricordano i «sette chili in sette giorni». Questo diceva infatti uno spot: «Dieci esami in dieci mesi!» Poi corretto (massì, abbondiamo) in un trionfante: «Undici esami in dieci mesi!». Per essere ancora più «gajarda», la home-page del sito mostra anzi una bella ragazza che impugna bellicosamente i guantoni e colpisce con un sinistro la scritta: «Esami, usa il metodo forte». Il tutto in linea con uno dei protagonisti, Stefano Bandecchi, ex paracadutista, amministratore unico della Edizioni Winner che della Universitalia è azionista al 50%. Metodi forti, metodi spicci. Basti ricordare che poche settimane fa Sara Nardi, una dei responsabili dell'istituto, è stata rinviata a giudizio dal pm romano Giuseppe Corasaniti per aver ingannato una ragazza con la proposta contrattuale «soddisfatto o rimborsato». Seccante. Come seccante fu il coinvolgimento due anni fa nell'inchiesta della procura di Verona su un giro di "diplomi facili", di Alfredo Pizzoli, oggi amministratore unico dell'Isfa, uno dei soggetti che controllano il Consorzio Risorse Umane, da cui è stata originata, appunto, la Unisu: Università telematica delle Scienze umane. Tutto corretto? Sotto il profilo legale magari sì. Ma anche uno dei docenti, Giuseppe Castorina, ordinario di Inglese alla Sapienza e presidente del comitato tecnico organizzatore dell'ateneo, ha detto al Corriere dell'Università e del Lavoro: «Sapevo che Winner fosse tra i finanziatori del Consorzio ma non che Winner fosse anche Universitalia. Il conflitto d'interessi? Indubbiamente la situazione è equivoca». Dotata di un comitato tecnico organizzatore presieduto da Umberto Margiotta, ordinario di pedagogia alla Ca' Foscari, la Unisu ebbe il via libera dalla Moratti il 10 maggio scorso, un mese dopo la sconfitta della destra e pochi giorni prima che Letizia passasse le chiavi del ministero al successore. Nella banca dati del ministero, per quanto quei numeri vadano presi con le pinze, non risulta avere neppure un docente di ruolo. Zero carbonella, per dirla alla romana. Le facoltà tuttavia sono quattro: Giurisprudenza, Economia, Scienze politiche e Scienze della formazione. Un miracolo? No. Almeno sulla carta. Nell'Università italiana (a differenza che negli ospedali) non esiste infatti alcuna norma che regoli le pretese di un docente di un ateneo pubblico di lavorare anche per uno privato. Certo, Mussi ha già annunciato di volere cambiare al più presto queste regole perché «non sta né in cielo né in terra che un dirigente della Fiat possa lavorare anche per la Renault o la Bmw». Ma per adesso la situazione è questa: centinaia di docenti sono a carico dello Stato (dallo stipendio agli assegni familiari, dalle ferie ai contributi pensionistici per una media da 150 a 180 mila euro l'anno lorde, un ordinario) come dipendenti pubblici e arrotondano con le accademie private. In particolare le telematiche. Una delle quali, la Uninettuno, che peraltro passa per essere una delle più serie (Economia, Giurisprudenza, Ingegneria, Lettere e Psicologia e un assetto societario che vede in prima fila il Consorzio Nettuno di cui fanno parte anche l'ex ministro dell'Istruzione Giancarlo Lombardi e l'ex direttore generale della Rai Franco Iseppi) ha un docente pubblico addirittura come rettore: Amata Maria Garito. Ordinaria di psicologia alla Sapienza e grande amica di Prodi, che proprio a casa sua attese il 10 aprile i risultati elettorali.
Il fatto è che nell'affare delle università telematiche hanno tentato di buttarsi in tanti. Ovvio: gli studenti fanno tutto in Internet (lì scaricano le lezioni registrate dei docenti, lì trovano le esercitazioni da fare, lì partecipano ai forum didattici, lì "chattano" con la controparte) e possono teoricamente vedere questo o quel «prof.» solo il giorno dell'esame. Quindi basta una sede neppure troppo grande, un po' di professori part-time, uno staff che abbia dimestichezza con Internet ed è fatta. Senza alcuna necessità di investire decine di milioni di euro. Ed ecco la Telematica universitas mercatorum, costituita a novembre del 2005 per iniziativa dell'Unioncamere (Presidente è Andrea Mondello, che guida l'associazione): una facoltà (Economia) e due corsi di laurea triennale, Management delle risorse umane e Gestione d'impresa. E poi la Pegaso (due facoltà, Giurisprudenza e Scienze umanistiche, zero docenti di ruolo in banca dati) che ha come azionisti Danilo, Raffaele e Angelo Jervolino, che già hanno interessi in vari istituti scolastici privati partenopei. E poi la Giustino Fortunato (solo Giurisprudenza, nessun docente di ruolo in banca dati) che fa capo alla fondazione Efiro di Benevento, presieduta da Angelo Pasquale Colarusso, già noto nel Sannio per una scuola privata che da molto tempo aiutava nelle rimonte scolastiche. E poi ancora la Leonardo da Vinci, zero docenti di ruolo (per la banca dati), tre facoltà (Scienze dei Beni culturali, Scienze della Formazione e Scienze manageriali) e un legame strettissimo con l'Università Gabriele D'Annunzio" di Chieti-Pescara (nota anche per un gran numero di speedy-lauree) il cui patriarca indiscusso è Franco Cuccurullo, ex-presidente del Comitato etico nazionale nominato da Rosy Bindi per esaminare il protocollo Di Bella, presidente del Comitato di indirizzo di valutazione sulla ricerca e futuro presidente dell'Istituto Superiore di Sanità. E poi ancora la Unitel (zero docenti fissi in banca dati, tre facoltà: Agraria, Architettura e design industriale e Scienze motorie ma con un solo corso di laurea attivato: design della moda) che appartiene a una società di cui fanno parte la Fondazione Renato Dulbecco (28%), l'Associazione centro interdisciplinare studi biomolecolari (12%), Mediolanum comunicazione (8%), Fininvest Servizi (8%) e sbloccata dalla Moratti l'8 maggio scorso, nove giorni prima che si insediasse il nuovo governo. Per finire con la Iul (ancora zero docenti ufficiali, una facoltà, proprietà di un consorzio con l'Università Bicocca di Milano, l'Università di Firenze, di Macerata, di Palermo e la Lumsa…), la Tel.Ma. (un docente di ruolo, Donato Limone, e due facoltà, voluta a quanto pare dal Formez e dall'Anci).
Voi chiederete: ma perché questa corsa? Il miele che attira le api, quelle buone e quelle meno buone, è la possibilità di rastrellare una quantità mai vista prima di «aspiranti dottori». Merito di quella riformetta che permette un po' a tutti di «mettere a frutto il proprio lavoro». Facendosi riconoscere, sulla base dell'esperienza accumulata come ragionieri o guardie forestali, giornalisti o vigili del fuoco, impiegati catastali o brigadieri dei carabinieri, una gran quantità di crediti formativi universitari (fino a 140, prima che Mussi imponesse un tetto massimo di 60 su 180) così da poter puntare a una laurea con pochi esami. È vero: l'hanno fatto un sacco di atenei, anche tra quelli additati come «più seri». Ma alcuni ci hanno dato dentro alla grande. Come la telematica «Marconi», che risulta avere fatto la bellezza di 30 bandi di gara per docenti ma di averne a carico due soli: il ricercatore Umberto Di Matteo (nemmeno confermato, pare) e l'ex senatore democristiano e poi aennino Learco Saporito, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Berlusconi. Rettore: Alessandra Spremolla Briganti, fino a qualche mese fa ordinario a Roma Tre. Proprietà: la Fondazione Tertium. Facoltà: Lettere, Giurisprudenza, Economia, Scienze e tecnologie applicate, Scienze della formazione, Scienze sociali. Amatissime, stando alla raffica di convenzioni sbandierate su Internet, da un sacco di associazioni di categoria. «Avevamo la fila alla porta di gente che voleva laurearsi e ci proponeva mille o duemila iscritti a botta», spiega Francesco Paravati, responsabile del marketing della Uninettuno che quasi si vanta di avere solo 600 iscritti contro gli oltre quattromila della Marconi. Il delegato di un gruppo di agenti di custodia, racconta, "arrivò a dire chiaro e tondo: la laurea ci serve solo per passare di grado. Non daremo fastidio a nessuno, non faremo danni usandola. Le altre ci riconoscono cento, centodieci crediti… Perché voi no?».
Restava il giallo su chi stesse dietro l'undicesima università telematica, la E-Campus, approvata il 30 gennaio scorso. Di chi poteva essere? E perché la proprietà aveva ritenuto opportuno starsene nell'ombra dietro due finanziarie? Finché, passin passino, siamo arrivati a capo del mistero: dietro c'è, come dicevamo all'inizio, il gruppo di Francesco Polidori, fondatore del Cepu. Come mai tanta riservatezza? Chissà, perché forse qualcuno al ministero avrebbe potuto ricordare non una ma quattro sentenze dell'Autority per pubblicità ingannevole. L'ultima è di tre anni fa.
Gian Antonio Stella (Giornalista del Corrire della Sera)
Ecco perchè in Italia stanno aumentando i competenti (in senso prettamente ironico)....Grazie a CEPU, UNIVERSITALIA ed altre...come diceva un mio carissimo amico: (mi si scusi il modo ma, I fatti parlano e la merda vola...). L'Italia finirà allo scatafascio totale!!! Non ci sono organi che controllano e se ci sono mi vien da pensare che ci guadagnano pure loro....
Pensar bene è lecito, ma a Pensar male ci si azzecca sempre. Un qualcosa di simile lo diceva Andreotti.

sabato 30 dicembre 2006

Bagdad: Saddam Hussein impiccato all'alba.

La fine del rais: sul patibolo in manette, è morto subit.

Fonti irachene confermano l'esecuzione. Insieme all'ex dittatore impiccati il fratellastro e l'ex capo del Triibunale rivoluzionario.

BAGDAD (IRAQ) - La sentenza è stata eseguita: Saddam Hussein, ex dittatore iracheno, è stato impiccato all'alba del 30 dicembre, intorno alle 6 del mattino a Bagdad, quando in Italia erano circa le 4. La televisione di Stato irachena ha confermato l’esecuzione di Saddam Hussein, impiccato insieme al fratellastro Barzan al Tikriti e all’ex presidente del Tribunale Rivoluzionario, Awad al Bandar; tutti gli imputati erano stati condannati il 5 novembre scorso per la strage di Doujail. «La condanna del criminale è stata eseguita» è il lapifario annuncio che viene fatto in tv. La radio irachena nel frattempo trasmette preghiere e versetti del Corano.
Scene di giubilo nel quartiere sciita di Bagdad (Ap)
L'ESECUZIONE - «È stato rapido, è morto subito». Così uno dei funzionari iracheni presenti all'esecuzione di Saddam Hussein ha raccontato gli ultimi momenti dell'ex presidente iracheno. La fonte ha precisato che Saddam aveva il volto scoperto e che appariva calmo. Saddam, che aveva il Corano in mano sul patibolo, secondo alcuni racconti diffusi dopo l'esecuzione «aveva paura» di affrontare la morte. Ma il consigliere per la sicurezza nazionale Moaffaq al-Roubai, che ha assistito all'esecuzione, insieme ad altre 6 persone, ha precisato alla televisione Al Iraqiya che il condannato aveva le mani legate. «Saddam è salito con calma sulla forca, appariva deciso e coraggioso. A un certo punto Saddam ha girato la testa verso di me come per dirmi "non ho paura"». Il consigliere per la sicurezza nazionale ha aggiunto che il cadavere di Saddam Hussein sarà deposto in un luogo segreto fino a quando non sarà deciso di consegnarlo alla sua tribù o alla sua famiglia.
LUOGO SIMBOLICO - Saddam Hussein è stato impiccato a Bagdad all'interno di uno dei centri utilizzati dal deposto regime per torturare i dissidenti. Sami al-Askari, parlamentare sciita vicino al premier Nuri al-Maliki, il quale ha assistito all'esecuzione, ha detto che la sentenza è stata eseguita nel vecchio quartier generale dei servizi segreti dell'era Saddam. Il deputato ha sottolineato il significato simbolico della scelta. «L'esecuzione ha avuto luogo nell'edificio della quinta sezione dell'ex direzione generale dell'intelligence a Kadhimiyah», ha detto, dove sono stati eliminati molti nemici di Saddam.
DISORDINI - La morte di Saddam ha provocato reazioni contrastanti in Iraq. Alle scene di giubilo a Bagdad con balli e canti per strada, si sono contrapposti i violenti disordini in corso nei pressi della città di Falluja, roccaforte della ribellione sunnita. Scontri tra uomini armati e soldati americani sono scoppiati anche a Sufiya, quartiere orientale di Ramadi, località sunnita che si trova a 110 km a nord-ovest di Bagdad, dopo che manifestanti sono scesi in strada per protestare contro l'esecuzione dell'ex presidente iracheno Saddam Hussein. Lo ha riferito l'agenzia privata Aswat al-Iraq spiegando che la folla è scesa in strada in segno di protesta anche a Mossul, Falluja, Bayji e Tikrit, città natale dell'ex rais impiccato questa mattina. Manifestazioni popolari di gioia si sono invece verificate in importanti località sciite come Kut, Najaf, i sobborghi sciiti di Baghdad e Dujail, il villaggio di cui 148 abitanti furono uccisi per rappresaglia in seguito a un fallito attentato contro Saddam Hussein nel 1982. Successivamente un'autobomba è esplosa in un mercato nella città sciita di Kufa provocando, secondo una fonte del ministero dell'Interno iracheno, almeno 35 morti e 45 feriti. LE ULTIME ORE - L'esecuzione della condanna morte sembrava ormai inevitabile ma non così vicina alla sentenza come invece è accaduto. Le ultime ore sono state un frenetico rincorrersi di voci, ipotesi e smentite. Nella notte del 29 dicembre la difesa di Saddam Hussein ha cercato un estremo tentativo di allungare i tempi, appellandosi alla giustizia Usa. Ma la decisione delle autorità irachene era presa. Le prime conferme della volontà di eseguire entro poche ore erano state espresse da alcuni funzionari. Subito c'erano stati nuovi ma inutili appelli a non procedere, tra i quali quello del premier italiano Romano Prodi. Le autorità irachene, evidentemente, hanno voluto evitare di trascinare la questione-Saddam per altri giorni, nel timore di far crescere così le tensioni. Ma anche la morte di Saddam, si teme da giorni, provocherà non pochi problemi in Iraq (dove la minoranza sunnita lo considera tuttora un proprio simbolo e, da ora, martire), sia negli altri Paesi islamici. Numerose manifestazioni si erano già avute nei giorni scorsi.
30 dicembre 2006
L'ergastolo a vita in un metro per un metro sarebbe stato meglio.....ma purtroppo dillo agli sciiti e curdi!!!

venerdì 29 dicembre 2006

Le mille stravaganze degli atenei privati.

La proliferazione dei politici-docenti.
Dal prestigio della Bocconi alle università taroccate finite nel mirino dell'Antitrust Il caso del «campus» dentro un ipermercato.

Siete divorati dal desiderio di sapere cos'è «l'approccio slow all'economia distribuita e alla sensorialità sostenibile?» Peccato, avete perso l'occasione per dibatterne, al seminario organizzato qualche settimana fa e promosso dal Politecnico di Milano, da Slow Food, dall'Istituto europeo di design e dalla Domus Academy. Appassionante. Come un mucchio di altre iniziative nate dalla fantasia di quel mondo effervescente che si è sviluppato negli ultimi anni a cavallo tra università pubbliche, private, semi-pubbliche, quasi-private. Mondo che solo recentemente, dopo l'esondazione di nuovi atenei e nuove facoltà e nuovi corsi di laurea, Fabio Mussi ha deciso di arginare piantando finalmente dei paletti. Anzi, tra le tante, l'Università degli studi di Scienze gastronomiche, che come soci fondatori ha lo SlowFood, la regione Emilia-Romagna e il Piemonte, non è neppure delle più strampalate: è o non è la buona tavola una delle roccaforti dello stile e dell'economia italiani? Prosit.
FINANZIATE DALLO STATO - Certo è che a passare al setaccio il mondo universitario non statale, finanziato comunque dallo Stato con 133 milioni di euro l'anno (più i 30 dati da una misteriosa manina in Finanziaria ai collegi universitari ecclesiastici) c'è di tutto. Su 94 riconosciuti dal ministero, gli atenei di questo tipo sono 28. Dalle strane accademie spuntate dal nulla e dal profilo ambiguo, con docenti non sempre all'altezza, ai luoghi di assoluta eccellenza come la Bocconi o la Cattolica, da sempre fucine della classe dirigente del Paese. Quelli promossi da enti pubblici sono quattro, da soggetti privati 13. Più le università telematiche (undici, ma il nuovo governo ne ha bloccate altre cinque in dirittura d'arrivo) delle quali diremo più avanti. Quanti siano gli studenti, vista la contrapposta inaffidabilità delle banche dati del ministero, preferiamo lasciar perdere: troppo casino. Quanto ai docenti, che risultavano essere 2.022 al 31 dicembre 1998, sarebbero oggi (meglio: al 31 maggio 2006) 2.734. Con un aumento di 712 persone: 361 ordinari, 256 associati e 95 ricercatori. Un incremento del 35,2%. Nettamente inferiore, comunque, all'aumento esponenziale di atenei, facoltà e corsi.
UNIVERSITA' TAROCCATE - Non bastassero, nel caos hanno finito per inserirsi un bel po' di università taroccate. Creature virtuali, aperte come si apre un supermarket o una concessionaria. E metodicamente bastonate dall'Antitrust di Antonio Catricalà, che negli ultimi due anni ha messo sotto inchiesta una ventina di atenei impegnati nel «gioco del dottore», condannandone diversi per pubblicità ingannevole. Come la Libera Privata Università di Diritto Internazionale dell'Isfoa, che sbandierava sul sito di diffondere «i principi dell'Open University, programma di matrice anglosassone» e diceva di avere sedi nella Quinta Strada a New York e nel Principato di Monaco e addirittura a Nauru, in Polinesia ma poi aveva il cuore nella sgarrupata Tirana. Oppure la Cetus, allestita al piano terra di un palazzone della periferia palermitana da un «rettore» che, irritato col Corriere per una denuncia, protestò inviando una lettera così spassosamente sgrammaticata che, per la delizia dei lettori, i correttori di bozze si astennero dal metterci mano. O ancora la «Nuova Università del Cinema e della Televisione», colpita pochi mesi fa perché prospettava falsamente «la possibilità per il consumatore, di studiare presso un'università riconosciuta, con la possibilità di poter perseguire, a seguito della frequenza dei corsi pubblicizzati, un titolo quale la laurea». Alla larga.
CAMPUS-IPERMERCATO - Anche tra quelle legalmente riconosciute, tuttavia, non mancano casi da fare arricciare il naso. Come la Lum di Casamassima, un paesotto vicino a Bari, che a dispetto del nome gonfio di maiuscole (Libera Università Mediterranea «Jean Monnet») è l'unico esempio di ateneo nato grazie a un ipermercato. La sede è infatti in un Campus (due facoltà: giurisprudenza ed economia) all'interno del Baricentro. Una cittadella commerciale costruita anni fa da Giuseppe Degennaro, esponente di una di quelle famiglie baresi che s'imposero negli anni Settanta e Ottanta con lo sviluppo violento dell'edilizia. Finanziato negli anni ruggenti della ex Cassa del Mezzogiorno, assessore ai trasporti del comune, deputato Dc, presidente della Confcommercio pugliese, coinvolto in un'inchiesta per voto di scambio (un anno e quattro mesi in primo grado), eletto senatore nel 2001 con Forza Italia, Giuseppe Degennaro era, della sua creatura, anche il rettore. Morto lui un paio di anni fa, la carica è passata al figlio Emanuele. Erede pure del collegio elettorale, della presidenza del consiglio di amministrazione dell'Università, della guida dell'Interporto regionale della Puglia…
POLITICI DOCENTI - Una storia non meno interessante è quella della UKE, acronimo di Università Kore di Enna. Fortissimamente voluto da Vladimiro «Mirello» Crisafulli, l'uomo più potente dei diessini siciliani non scalfito neppure dall'inchiesta sul suo incontro filmato con un mafioso e così sicuro di sé da dire che lui, a Enna, vince «col proporzionale, col maggioritario e pure col sorteggio», l'ateneo forse non trabocca di luminari internazionali, ma di politici sì. Politico è Mirello, che sta nel Cda con la sua «licenza media inferiore», politico è il presidente Cataldo Salerno che guida pure la Provincia, politici altri due membri del consiglio quali Carmelo Tumino (deputato regionale della Margherita) ed Edoardo Leanza (idem, per Forza Italia) e politico infine è Salvo Andò, che ai bei tempi socialisti fu ministro della difesa e adesso della Kore è il Rettore. Le facoltà sono cinque: beni culturali, economia, giurisprudenza, ingegneria, scienze della formazione. Più un po' di master. Tipo: «Valutazione e autovalutazione sistemica nei processi formativi della comunicazione». Gli studenti per ora sono (mai fidarsi dei siti ministeriali) un paio di migliaia ma l'Università ha l'ambizione di arrivare l'anno prossimo a 10.500 con 174 docenti. Alla faccia di chi ha la puzza sotto il naso. Accentuata dal fatto che tre su sette dei membri del Cda (più l'Ad) sono insieme ai vertici della Ennaeuno, la municipalizzata per lo smaltimento dei rifiuti. Va da sé che, al di là delle chiacchiere sul «privato», i soldi vengono dalla Provincia, dalla Camera di commercio, da alcuni comuni, dalla Regione. Un dettaglio comune a molti altri atenei, dalla Calabria (dove la Libera Università della Sibaritide doveva nascere anni fa coi soldi «privati» della Regione, della Provincia, delle Comunità montane di Trebisacce, Rossano e Acri e di 33 comuni quali Calopezzati, Amendolara, Mandatoriccio) all'Alto Adige, dove è appunto nata la Libera Università di Bolzano per diretto interessamento della Provincia. O alla toscana Lucca, dove per iniziativa di Marcello Pera, che irrideva ai nemici bollandoli come invidiosi («abbiamo più successo della Normale e del collegio Sant'Anna») è nato a tempo di record l'Imt, una cosa un po' privata e un po' pubblica, finanziata coi soldi dell'Università di Pisa, del ministero, del Comune, della Provincia…
CONVENZIONI - Tutto bene, per carità. Tutto corretto. Tutto legale, come le convenzioni firmate da un sacco di università, da Siena alla romana Pio V˚,da Chieti amille altre, con un mucchio di associazioni e corporazioni e sindacati, dai vigili urbani ai dipendenti ministeriali, dalle guardie carcerarie ai giornalisti, che prevedevano riconoscimenti di crediti così generosi (stoppati da Mussi: non più di 60) da permettere speedy-lauree guadagnate con una manciata di esami in un solo anno. Da segnalare, in questo caravanserraglio di cose serie e insieme di bizzarrie, la politica di immagine della milanese IULM che, fondata dalla Libera università di lingue e comunicazione, conta tra i soci la Provincia, la Camera di commercio, l'Assolombarda, il Centro Turistico Studentesco… C'è di tutto. Il concorso per il progetto «Who's that girl» per dare un nome all'avatar dell'Ufficio relazioni pubbliche della Provincia. La sfida su Odeon Tivù fra la squadra IULM e una della Statale. L'accordo con Mediaset (si chiama Campus Multimedia In-formazione) per lo sviluppo della cooperazione fra Università e imprese. E la vendita online di berretti, magliette, T-Shirt col nome dell'amato ateneo. Come a dire: fatti una laurea. O almeno una felpa.
Sergio Rizzo Gian Antonio Stella (Giornalisti del Corriere della Sera)
29 dicembre 2006
Penso che leggendo questo articolo scopriamo un Italia conosciutissima dagli studenti e laureati....ed ora spero che la conosceranno maggiormente coloro che l'Università per loro libera scelta/e non..... non l'hanno mai fatta!!!
L' ennesima testimonianza di questo "Paese dei balocchi", dove la legge non la fanno i principi e valori espressi nella Costituzione Italiana, ma la fanno i potenti, gli arruffoni, i condannati.....

mercoledì 27 dicembre 2006

Pannella, sciopero della fame e della sete:

«Il governo italiano agisca subito»
«L'Italia si impegni subito e seriamente per scongiurare l'esecuzione immediata di Saddam Hussein»


Il ministro degli Esteri D'Alema: «Siamo contro la pena di morte» .

ROMA - Marco Pannella ha iniziato uno sciopero della fame e della sete per chiedere al governo italiano «di impegnarsi subito e seriamente per scongiurare l'esecuzione immediata di Saddam Hussein». Il leader radicale si è offerto di recarsi immediatamente a Bagdad «per ottenere la conversione della pena di morte in trent'anni di reclusione». Se la condanna fosse eseguita, per Pannella «il governo iracheno compirebbe un atto infame, degno di quelli che furono propri di Saddam Hussein stesso, indegno di un Paese civile e democratico». OCCASIONE - «Nel 2003, malgrado il voto ad ampissima maggioranza del Parlamento italiano per l'esilio di Saddam Hussein come alternativa alla guerra, governo e opposizione italiani non onorarono quella decisione. Saddam conobbe quella nostra iniziativa. Saddam Hussein vivo potrebbe rivelarsi strumento insostituibile e unico di pacificazione e di delegittimazione dell'esercito di bande assassine che compie impunemente stragi continue delle popolazioni irachene». Secondo Pannella «si presenta una straordinaria occasione per far esplodere nel cuore del Medio Oriente un grande atto di pace, un grande dibattito nei popoli e nelle coscienze, lo scandalo della nonviolenza come alternativa alle dittature e alla guerra».
D'ALEMA: CONTRARI A PENA DI MORTE - Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, da Santiago del Cile dove si trova in visita ufficiale, ha dichiarato: «Siamo contro la pena di morte, come italiani e come europei. Non è un discorso in difesa di Saddam Hussein, io difendo il principio secondo cui la pena di morte non è accettabile e quindi continuo a sperare che questa sentenza non venga eseguita».

La pena di morte è una brutalità....(ma sciiti, curdi e rispettive famiglie trucidate da Saddam chissà....nei loro panni come ci sentiremmo se favorevoli o contrari all'impiccagione...)
Ciò che mi ha portato a riportare questo articolo del Corriere della sera e il fatto che Pannella è sempre pronto allo sciopero della fame e della sete per cause giuste e non giuste (dipende dai punti di vista di ognuno di noi), ma quando farà uno sciopero per la riduzione degli stipendi e del numero di deputati e senatori del Parlamento Italiano? Sicuramente eccetto "loro e forse lui" tutti noi - comuni cittadini - ne saremmo felici....

Università, 37 corsi di laurea

Il caso della «Sapienza», un gigante con 200 «sedi» sparse in Italia.

Da Bologna a Moncrivello: i casi in tutta Italia. E il numero totale è raddoppiato in 5 anni .

C'è un Robinson disperso su un'isoletta universitaria di Forlì che non ha neanche un Venerdì con cui parlare: è l'unico iscritto al corso di Scienze della mediazione linguistica. Ma con chi può mediare, se non c'è un selvaggio con cui aprir bocca? Una solitudine da incubo.
La stessa che deve provare l'unico iscritto a Scienze storiche a
Università La Sapienza di Roma (Internet)Bologna e l'unico a Ingegneria industriale a Rende e l'unico a Scienze e tecnologie farmaceutiche a Camerino e insomma tutti i solitari frequentatori di 37 corsi universitari sparsi per la penisola. Avete letto bene: ci sono trentasette mini-facoltà con un solo studente. Poi ce ne sono dieci con 2 frequentatori, altre dieci con 3, altre quindici con 4, altre otto con cinque e altre ventitré con 6 giù giù fino a un totale di 323 «universitine» che non arrivano a 15 iscritti. Con alcune situazioni piuttosto curiose. Come quella di Termoli, che come patrono ha San Basso ma accademicamente vola alto: dal sito del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario si può apprendere infatti che i ragazzi della cittadina molisana che non si sentono predisposti ai viaggi, hanno a disposizione non una ma addirittura due possibilità di diventar dottori sotto casa. La prima viene loro offerta dalla facoltà di medicina e chirurgia dell'Ateneo del Molise (29 iscritti), la seconda dalla Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La quale, invogliata dalle nuove normative, è salita ormai a 21 sedi diverse, posizionandosi anche in metropoli quali Guidonia Montecelio (32 iscritti a medicina), Pescopagano (33), Larino (37) e Moncrivello, ridente paesino in provincia di Vercelli con 1.477 abitanti, dei quali 14 decisi a diventare chirurghi, urologi o anestesisti. Un record da dedicare al santuario del Trompone, il cui nome ha una tale assonanza con certi professoroni universitari che il destino, diciamolo, era già prefigurato. Ma un record battuto, appunto, da Termoli. Dove gli iscritti a medicina, versante Cattolica, sono sei.
Meno male: tre maschi e tre femmine. Direte: quanto costeranno, certi atenei in miniatura? Valeva la pena di incoraggiare questa moltiplicazione di pani, pesci e cattedre finendo fatalmente per abbassare il livello medio degli insegnanti, visto che come nel calcio e nella lirica non ci sono abbastanza Totti e abbastanza Pavarotti per tutti gli stadi e tutti i teatri e occorre dunque ricorrere sempre più spesso a brocchi e ronzini? E' quanto cercheremo di spiegare. Partendo da alcuni numeri. Primo fra tutti quello delle università "storiche", italiane. Erano 27, figlie di una tradizione spesso secolare, e sono rimaste tali per un sacco di tempo. Salendo poi lentissimamente, dalla metà degli anni Cinquanta in avanti, fino ad arrivare alla fine del millennio a 41. Bene, da allora (c'è chi dice a causa delle scelte del ministro «rosso» Luigi Berlinguer e a causa di quelle del ministro «azzurro » Letizia Moratti) sono dilagate. Arrivando in una manciata di anni a 78. Più «ospiti» quali l'Università di Malta, più le «private» (sulle quali avremo modo di sorridere), più undici «telematiche» sulle quali esistono dettagli piuttosto curiosi da raccontare. Totale? Quelle col «bollino» sono 94. Ma il caos è ormai tale che la somma totale degli «atenei» veri o presunti (e meno male che qualcuno è stato burocraticamente raso al suolo da Fabio Mussi come quello fondato in una palazzina di Villa San Giovanni da un certo Francesco Ranieri che la dedicò al suo omonimo nonno) è ormai difficile da calcolare. «Evviva!», esulteranno certi liberisti nostrani: tante università, tanta concorrenza. Tanta concorrenza, tanta selezione. Tanta selezione, tante eccellenze. E' vero o no che lo stesso Salvatore Settis, acerrimo nemico della proliferazione, ha scritto che in America le cose chiamate «università» sono circa quattromila e dunque noi abbiamo ancora spazio per altre sei o settecento «atenei»? Verissimo, sulla carta. Non fosse per due dettagli sottolineati dal direttore della Normale di Pisa.
Il primo è che negli Stati Uniti chi non è all'altezza si arrangia: se trova studenti che pagano la retta per andarci bene, sennò chiude. Il secondo è che il titolo di studio, lì, non ha alcun valore legale: hai preso la laurea ad Harvard? Ti assumono tutti. L'hai presa in una pseudo- università allestita da un mestierante senza la biblioteca e senza laboratori e senza docenti di un certo livello? Non ti fila nessuno. Affari tuoi, se ti sei fatto imbrogliare. E non c'è concorso dove possa giocarti una laurea ridicola per accumulare punti in graduatoria e prenderti un posto immeritato. Qui è la prima contraddizione, denunciata da Francesco Giavazzi e Piero Ichino e Roberto Perotti e altri ancora: il via libera alla moltiplicazione degli atenei senza aver prima abolito il valore legale del titolo di studio è un errore fatale. Che toglie risorse, chiedendo una distribuzione a pioggia di stampo clientelare, alle università vere. Quelle serie. Sobrie. Spesso straordinarie. Che ci fanno onore in Italia e all'estero. Che hanno già levato alta la loro protesta. E oggi sono spesso costrette a mettersi in concorrenza coi furboni. E a cedere alla tentazione di aprire in città e paesi e borghi e contrade più o meno vicine nuove facoltà e nuovi corsi di laurea. Meglio: nuovi punti vendita. Basti pensare che questi corsi (per i quali non occorre l'autorizzazione ministeriale) erano 2.444 nel 2000/2001 e alla fine del 2005 erano già schizzati a 5.400. Numero destinato a un successivo incremento (più 861) nonostante, scrive l'ultimo rapporto del Miur, «le raccomandazioni a livello centrale di procedere a una semplificazione dell'offerta». E così, se le Università sono diventate 94, le facoltà sono cresciute fino a 610 e i dipartimenti fino a 1.864 e gli istituti a 319 e i «centri universitari» a vario titolo fino a 1.269. Fino a casi abnormi come quello della «Sapienza». Che da Roma ha alluvionato di sedi e «sedine» tutta l'Italia centrale fino ad avere oltre duecento (chissà se almeno il rettore conosce il numero esatto) indirizzi postali differenti. Dove sono stati coriandolizzati la bellezza di 341 corsi diversi: dall'infermieristica a Bracciano a logopedia ad Ariccia, dalle tecniche di laboratorio biomedico a Pozzilli all'architettura degli interni a Pomezia. Per un totale (professori ordinari e assistenti e ricercatori) di 4.766 docenti. Tutti bravi come Totti? Difficile da credere. Ma certo anche tra di loro c'è chi ama giocare. Come i docenti che hanno organizzato, tempo fa, un «corso di composizione floreale per imparare a realizzare decorazioni di Natale con rametti di pino, candele e bacche colorate». E poi dicono che l'Università italiana non punta sulle specializzazioni...

Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella
27 dicembre 2006


L'Università italiana dalla riforma ad oggi purtroppo non ha portato niente di buono....o esclusivamente: sperpero, sperpero, sperpero! Ci verrebbe da pensare solo al titolo di un libro nonchè film di qualche anno fa: "Io speriamo che me la cavo".

sabato 23 dicembre 2006

giovedì 21 dicembre 2006

Gdf: scoperti 15,3 miliardi non dichiarati

Il comandante: capillari controlli su chi ha tenore di vita ingiustificato.

Fiamme Gialle, rapporto 2006: 6950 gli evasori totali individuati, Iva evasa per 3,5 miliardi, scoperti 28mila lavoratori in nero.


ROMA - Tanti soldi evasi: quasi quanto una Finanziaria. Seimilanovecentocinquanta evasori totali e 15,3 miliardi di euro di redditi non dichiarati. Sono i dati principali della lotta all'evasione fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nel 2006 e presentati oggi dal comandante del corpo, Generale Roberto Speciale. L'evasione dell'Iva ammonta invece a 3,5 miliardi di euro, un dato cresciuto del 40% rispetto allo scorso anno.
LOTTA ALLA CRIMINALITA' - Nel 2006 sono stati sequestrati circa 89 milioni di articoli merceologici falsificati (+28% rispetto al 2005), le persone arrestate sono state 446 e quelle denunciate 16.167. In particolare, le Fiamme Gialle hanno sequestrato 19.736.000 prodotti nel settore della moda, 23.180.000 falsi nel settore dell'elettronica e 6.758.000 giocattoli. Intensa pure l'attività nella lotta alla droga. La Guardia di Finanza ha arrestato 3.100 persone, il 17% in più al 2005. Sono state sequestrate 14,7 tonnellate di hashish e marijuana con un aumento del 67% rispetto alle 8,7 tonnellate del 2005, 2,7 tonnellate di cocaina, 0,7 tonnellate di eroina e 0,5 di sostanze psicotrope, dieci volte di più dei 44 chili sequestrati nel 2005. Per il contrasto alle scommesse clandestine e per reprimere l'utilizzo di apparecchi per il gioco non autorizzati nel corso del 2006 sono stati effettuati 2.828 interventi e sono state sequestrate 13.600 slot machines (+95% rispetto al '95).
CONTROLLI - I controlli della Guardia di finanza hanno portato alla scoperta di basi imponibili per 5,7 miliardi di euro come evasione parziale e di 2,1 miliardi di euro per quanto riguarda l'elusione e l'evasione internazionale. «Il peso dell'economia sommersa nell'ambito dell'evasione - ha detto il capo del III reparto operazioni, generale Giuseppe Vicanolo - rimane abbastanza rilevante e non accenna a diminuire». I lavoratori in nero ed irregolari individuati nei cantieri e nelle e aziende sono più di 28 mila. Nel 2007 «la Guardia di finanza concentrerá tutti i servizi di polizia economica e finanziaria su due obiettivi di massima prioritá: la lotta all'evasione fiscale e il contratto alla criminalitá economica», ha poi aggiunto il comandante generale della Guardia di finanza. Sará attuata «una decisa e sistematica azione di prevenzione e regressione di ogni forma di evasione e di elusione fiscale».
TENORE DI VITA - La Guardia di finanza concentrerà, inoltre, l'attenzione «sui paesi a fiscalità privilegiata, sulle frodi carosello e sui contribuenti iva, in particolare sui soggetti disallineati rispetto agli studi di settore e sarà realizzato un piano capillare di controllo - ha detto il generale Speciale - sui soggetti che conducono un alto tenore di vita apparentemente ingiustificato rispetto a quanto dichiarano».

20 dicembre 2006

Ecco perchè è impossibile non chiamare l'Italia "Il paese dei balocchi"...ma è veramente non difficile, ma inutile governare gli italiani?
Ma ancora non capiamo che se non le paghiamo tutti non diminuiranno mai le tasse? Chissà nel futuro cosa accadrà.....speriamo che non accada ciò che è accaduto in Argentina...un dissesto economico nazionale....

Taranto - Falso cieco guidava la bicicletta

Scoperta una truffa all'Inps per 200mila euro, denunciate 5 persone. Alcuni pensionati, con la complicità di un funzionario comunale, percepivano indebitamente indennità.

TARANTO – Percepiva la pensione di invalidità perchè risultava cieco, ma i carabinieri lo hanno smascherato, filmandolo addirittura mentre guida una bicicletta. Si è conclusa con la denunzia in stato di libertà di 5 persone alla Procura della Repubblica di Taranto, una delicata indagine dei Carabinieri della Compagnia di Taranto, grazie alla quale è stata scoperta una rilevante truffa in danno dell’INPS. I militari hanno accertato che alcuni pensionati, con la complicità di un funzionario comunale, percepivano indebitamente pensioni di invalidità ed indennità di accompagnamento relative a malattie inesistenti o fittiziamente fatte risultare più gravi del reale. Le indagini si sono protratte per diversi mesi e sono state condotte sia con accurati accertamenti documentali che con pedinamenti e servizi di osservazione. Durante questi ultimi, in più circostanze, è stato filmato e fotografato a passeggio, a piedi ed addirittura in bicicletta, uno dei falsi invalidi che agli atti dell’INPS risultava non vedente al 100%, percependo per tale motivo una cospicua indennità mensile. Le indagini hanno consentito di quantificare il danno subito dall’INPS in circa 200mila euro. Le persone denunciate sono 4 falsi invalidi ed un dipendente del Comune di Leporano, grazie alla cui complicità è stato possibile realizzare la truffa. Infatti, era proprio questo pubblico dipendente ad iscrivere falsificandone il contenuto, le certificazioni mediche attestanti le reali condizioni di salute dei 4 falsi invalidi. A seguito di questa indagine il dipendente è stato trasferito ad altro incarico. Le indagini proseguono, allo scopo di individuare eventuali ulteriori casi. L'indagine è stata diretta dal Pubblico Ministero Matteo di Giorgio della Procura della Repubblica di Taranto.

20/12/2006

Questo purtroppo è una delle tante situazioni che non potranno mai far crescere il nostro amato Sud..... La cosa più negativa è che il funzionario comunale "colpevole" non è stato IMMEDIATAMENTE LICENZIATO, ma è stato posto ad un altro incarico...

sabato 16 dicembre 2006

UNA BELLA RAGAZZA E UN CALENDARIO DIVERSO.

Lucia è una bella ragazza con gli occhi che ridono, 24 anni e un problema importante: è affetta da atassia, una malattia genetica per il momento classificata tra le incurabili.

Ma tutto è impermanente nell’universo, anche l’incurabilità...

Lucia Defilippi è una ragazza uguale/diversa, grintosa e piena di voglia di vivere, che vuole superare i limiti che oggi le impone l’atassia, per questo lei e un fotografo, Max De Martino, si sono messi a lavorare e hanno realizzato un calendario che vuole contribuire a raccogliere fondi per la ricerca sull’atassia e a superare questi limiti, un calendario grazie al quale Lucia viene vista da vicino, nella sua quotidianità, nella sua normalità difficile e faticosa, mentre prova a vivere nel miglior modo possibile sfidando se stessa e un mondo che non è proprio il miglior mondo possibile. Lei con coraggio, consapevolezza e tanta, tanta pazienza ci sta provando. Noi possiamo darle una mano.

Per vedere un'anteprima del calendario: www.maxdemartino.com/atassia/
Per acquistarlo contattare Maria Litani, responsabile dell'AISA Liguria, alla mail marialita@libero.it Tel. 339-3168142
Per contattare l'autore delle immagini www.maxdemartino.com max@maxdemartino.com Tel. 335-8475855 Lucia, Max e Maria sono disponibili per interviste e per dare la maggiore visibilità possibile al progetto e vi invitano a pubblicare questa notizia sui vostri blog, sui forum a cui partecipate, sui giornali su cui scrivete. Parlatene con i vostri amici, inoltrate questa mail...

Come scriveva Tiziano Terzani in "Lettere contro la guerra": "Questi sono ancora i giorni in cui è possibile fare qualcosa, Facciamolo.
A volte ognuno per conto suo, a volte tutti insieme".Grazie dei minuti che avete dedicato a leggere questa mail. Max De Martino www.maxdemartino.com max@maxdemartino.com Cell. 335-8475855

venerdì 15 dicembre 2006

il Girotondo dei Rettori

Articolo ripreso dal Corriere della sera 15/10/2006 (senza firma per lo sciopero indetto da FNSI)

Le minacce, no, non ce le saremmo aspettate dalla Conferenza dei rettori italiani. La protesta per le risorse negate all’Università dalla Finanziaria è legittima. Il grido d’allarme sullo stato comatoso dei bilanci universitari, lo sconcerto per l’insensibilità dimostrata nei confronti della ricerca: tutto questo è meritevole di considerazione e la maggioranza di governo farebbe male a non tenerne conto. Ma se i rettori decidono di svestirsi del loro ruolo togato e arrivano a intimare ai rappresentanti del governo di tenersi lontani dalle «significative manifestazioni in Università», è un lessico inaccettabile quello che traspare dalle loro dichiarazioni. Il governo dovrà naturalmente tener conto degli argomenti di chi teme una penalizzazione eccessiva delle Università. E il comunicato dei rettori, così virulento nei toni e nelle parole, sancisce una rottura simbolica la cui portata è paragonabile ai fischi operai di Mirafiori. Era stato infatti il centrosinistra ad appoggiare la protesta del mondo universitario contro il governo di centrodestra. «Ricerca» e «istruzione» sono state due parole chiave nella polemica dell’Unione contro una maggioranza, quella che sosteneva la compagine governativa guidata da Berlusconi, accusata di abbandonare alla deriva un universo vitale per il futuro dell’Italia. Ai rettori, vezzeggiati e assecondati per cinque anni, sono state offerte candidature alle elezioni. Il Magnifico Rettore dell’Università di Reggio Calabria, Alessandro Bianchi, è diventato ministro. Se ora i rettori si sentono traditi e percepiscono una sordità del governo sui temi della ricerca e dell’istruzione, il governo deve fare un esame di coscienza. I fischi e le contestazioni al governo, se si eccettua qualche sbavatura e caduta di stile, possono anche essere uno stimolo a cambiare, un modo per esprimere delusione per chi, anziché avvitarsi in dispute nominalistiche su ciò che si dovrà fare dopo la Finanziaria, deve fare subito tesoro degli errori commessi. Ma davvero c’è bisogno di un ennesimo girotondo, nientemeno che di un girotondo dei rettori che stona in modo così stridente con la loro funzione e la loro immagine austera? Se la spaccatura tra il mondo della ricerca e il governo è dunque un campanello d’allarme per chi ha varato una Finanziaria al di sotto delle aspettative dei rettori e dei ricercatori dell’Università, le forme e i modi della protesta non sono indifferenti, anche se lo scopo può essere condivisibile. Il metodo dell’ultimatum, l’invito ai membri del governo a non mettere piede all’Università sono appunto forme che i rettori, per la delicatezza del loro ruolo e per il carattere in un certo senso istituzionale della loro funzione, devono saper arginare per non far cadere l’Italia in una deriva caotica e civilmente disgregata che in altri tempi si sarebbe detta «sudamericana». I rettori invitino il governo nelle Università, chiedano conto delle promesse non mantenute, ripetano quanto hanno detto nella passata legislatura, e cioè che una nazione moderna non può permettersi di mortificare la ricerca. Ma evitino i girotondi. Non per risparmiare critiche al governo. Ma per risparmiare all’Italia l’ennesima brutta figura.

Cosa potrei dire....?? Che purtroppo l'Università Italiana (pubblica) non è cambiata. Sempre i soliti problemi: economici, burocratici, etc.. etc.. Forse si risolverebbe già qualcosa se l'Università pubblica proprio perchè pubblica continuassse a beneficiare dei soldi statali (ed aiutare quindi i ragazzi e le rispettive famiglie che non c'è la fanno a pagare la retta universitaria) e l'Università privata proprio perchè Privata vivesse con i soldi dei privati (e non beneficiasse come tutt'ora dei soldi statali) e dei ragazzi (si intende le rispettive famiglie) che possono permettersi di pagare una retta (in media) sui 5000,00 euro solo d'iscrizione!!!Non c'è l'ho contro l'Università privata, ma penso sia giusto così...E' ovvio poi che nell'Università pubblica ci sono degli sprechi che andrebbero eliminati...sia economici che umani!!!

giovedì 14 dicembre 2006

Il Papa: contro l'Aids fedeltà e astinenza

Fedeltà nel matrimonio e astinenza al di fuori di esso sono la via migliore per evitare l'infezione e fermare la diffusione del virus.

Benedetto XVI (Agf)CITTÀ DEL VATICANO - «La fedeltà nel matrimonio e l'astinenza al di fuori di esso sono la via migliore per evitare l'infezione e per fermare la diffusione del virus dell'Aids, che affligge milioni di persone nel continente africano». È l'indicazione di Benedetto XVI fornita nell'incontro in Vaticano con il nuovo ambasciatore del Lesotho, Makase Nyaphisi, diplomatico di uno dei Paesi più colpiti dal virus Hiv. «Voglio assicurare l`impegno della Chiesa cattolica per fare quanto possibile nel portare aiuto a coloro che sono afflitti da questa crudele malattia», ha detto il Papa. «I valori che promanano da un'autentica comprensione del matrimonio e della vita familiare costituiscono il solo sicuro fondamento per una società stabile».

risposta all'articolo di Francesca L.:

"Incredibile come ancora ai giorni nostri la piaga dell'AIDS, nonostante tutta la prevenzione e l'informazione che si fa, sia ancora un fenomeno così diffuso. I bersagli maggiori ancora una volta risultano essere i Paesi più poveri e in via di sviluppo. Da apprezzare è lo sforzo che la Chiesa Cattolica fa per poter aiutare a prevenire tale "calamità"...ma diciamocelo forse lo fa in un modo del tutto irrealistico. Ciò che il clero infatti non riesce a capire,o meglio capisce perfettamente ma si ostina a non voler accetare, è che oramai ai giorni nostri è venuto sfatandosi quel mito, di così larga diffusione nel passato, secondo il quale il sesso è solo e dopo il matrimonio.La civiltà occidentale odierna, del sesso e dell'infedeltà farebbe veramente fatica ad adeguarsi a tale visione. Allora perchè al posto di sprecare parole al vento, il Papa non si convince ad accettare che, in una società in cui non si può fare a meno del "peccato", sarebbe meglio promuovere l'utilizzo dei comuni metodi di prevenzione, anzichè ostinarsi a voler difendere idee utopiche."

Dipendenti corrotti

di GIAN ANTONIO STELLA (giornalista del Corriere della sera)

PUBBLICO IMPIEGO

Abbiano l’onestà di dirlo: non vogliono licenziare nessuno, neanche i mascalzoni arrestati con la bustarella in mano. Appioppare una condanna per corruzione a più di due anni di carcere, oggi, è pressoché impossibile. Capita in due casi su cento. Quindi la nuova «severità» sbandierata dal governo verso i dipendenti pubblici disonesti, accettiamo scommesse, si rivelerà una bufala. Eppure questo ha detto ieri al Corriere il ministro per la funzione pubblica Luigi Nicolais. Al prossimo consiglio dei ministri presenterà «un disegno di legge sui procedimenti penali e disciplinari nel pubblico impiego» che saranno «molto più severi» di adesso: «Oggi c'è il licenziamento in caso di corruzione, concussione e peculato con pene superiori a tre anni. Molti sfuggono patteggiando o con il rito abbreviato. Da domani basterà una pena patteggiata di oltre due anni per essere licenziati automaticamente». Domanda: il ministro sa quante condanne a oltre due anni di carcere vengono comminate oggi per quei reati? Se gli interessa, faccia una telefonata a Piercamillo Davigo, Consigliere di Cassazione, già protagonista del Pool Mani Pulite e autore con la professoressa Grazia Mannozzi di un libro in uscita per Laterza proprio sulla corruzione. Gli risponderanno: «Pochissime». Dettagli? Eccoli: elaborando i dati dei casellari giudiziari dal 1983 al 2002, risulta che le condanne per concussione (il reato più grave, articolo 317) a meno di due anni di galera con allegato il beneficio della condizionale sono il 78%. Quelli per corruzione propria (articolo 319) meno ancora: il 93%. E quelli per la corruzione normale (articolo 318) superano il 98%. Ovvio: la pena prevista per la corruzione va da due a cinque anni. Il giudice, per prassi, sceglie di partire generalmente da una via di mezzo, tipo quattro anni. Basta che il corrotto chieda il rito abbreviato o il patteggiamento, se proprio non ha la pazienza di tener duro, di rinvio in rinvio, contando sulla prescrizione o un indulto, e già ha diritto allo sconto di un terzo: e siamo a due anni e otto mesi. Meno un altro terzo per le attenuanti generiche (che non si negano a nessuno) e un altro sconto se si restituisce il maltolto et voilà, siamo già saldamente al sicuro: sotto i due anni. E questo, del resto, dicono un po' tutte le banche dati sui processi per corruzione. La pena finisce per essere spesso inferiore a un anno. Per scendere fino a sette od otto mesi. Una oltre i due anni è una vera rarità. Soprattutto in certe aree del sud come Reggio Calabria, dove le condanne per corruzione risultano essere state due. In venti anni. Morale: la «severità» delle nuove norme finirebbe in realtà per lanciare nel mondo del pubblico impiego un messaggio devastante: tranquilli, non cambia niente, nessuno paga. Lo dice la storia di questi anni. Non solo sul versante delle mazzette. Basti ricordare il caso di Antonio Donnarumma, un custode di Pompei. Lo arrestarono nella stupenda Casa di Cecilio Giocondo mentre cercava di violentare una ragazzina americana adescata con la scusa di mostrarle affreschi chiusi al pubblico. La flagranza del reato era tale che non cercò neanche di difendersi: patteggiò un anno con la condizionale. Bene: non riuscirono a licenziare manco lui. E si dovettero accontentare di mandarlo «in punizione» a Sorrento. Un «esilio» a 29 chilometri. Una botta al morale di chi come Pietro Ichino invoca da anni una mano più pesante coi fannulloni proprio per dare più spazio e più soldi ai dipendenti pubblici che lo meritano, la diede ad esempio un certo Salvatore Castellano, che stava al museo di Capodimonte (dove gli usceri rifiutavano le divise perché "non sono confacenti al clima di Napoli") e dopo aver fatto 220 assenze in un anno (più le ferie, più le festività...) era stato indicato al ministero come uno da sbattere fuori. Accusa: la salute cagionevole non aveva impedito all'uomo, mentre risultava quasi agonizzante, di tenere aperto un laboratorio di cornici. Eppure, di ricorso al Tar in ricorso al Tar... Anche A.T., un dipendente del comune di Genova, non si rassegnò al licenziamento che dopo vari ricorsi al Tribunale regionale: non riusciva a capire perché il municipio fosse così fiscale con lui, che aveva accumulato (facendo contemporaneamente altri lavori, secondo l'accusa) quasi 1.400 giorni di malattia. Perse, alla fine, ma solo perché non trovò magistrati come quelli del Consiglio di Stato che annullarono il licenziamento di un bidello calabrese introvabile quando arrivava il medico fiscale, perché «prima di assumere il provvedimento l'amministrazione deve comunque accertarsi delle reali condizioni di salute». E se quello fosse stato alle Maldive, come successe con un impiegato comunale di Pesaro? Andavano accertate le sue condizioni psicofisiche all'atollo Ari? Una sentenza fantastica. Pari almeno a quella del Tar di Milano che qualche anno fa fece riassumere al liceo scientifico Severi un bidello licenziato perché, preso in prova, in tre anni si era fatto vedere in totale per 60 giorni. No, dissero i giudici: nel pubblico impiego non si può interrompere un rapporto di lavoro prima che sia concluso un periodo di prova. Quanto lungo? Sei mesi. Cosa che, lavorando il giovanotto ("Sono diplomato e invece di farmi fare le pulizie fatemi lavorare in ufficio!") venti giorni l'anno, avrebbe richiesto qualche decennio. Il postino P.M., che qualche mese fa a Ortoliuzzo, Messina, fu sorpreso con due tonnellate e mezzo di lettere, fatture, telegrammi, assicurate, raccomandate che da nove mesi non aveva voglia di consegnare, se ne stia dunque sereno: avanti così, non lo licenzierà nessuno. Come nessuno è riuscito in questi anni a liberarsi, a Napoli, di quei vigili urbani che proprio non tengono voglia 'e fatica' nel traffico e hanno intasato la direzione del personale di centinaia di certificati: quello ha problemi all'udito, quell'altro non sopporta lo smog, quell'altro ancora si stressa... Tutta colpa del virus dell'«incrocite»": appena sono di turno a un incrocio, si sentono male. Il risultato, spiega il Mattino , è il seguente: su 2.128 poliziotti municipali, quelli che lavorano ancora nelle strade sono circa 500. Un quarto. Tutti gli altri faticano dietro qualche scrivania.

14/12/2006

Quando ho letto l'aticolo mi è venuto da ridere perchè delle volte mi chiedo: ma quando un Ministro (che sia di destra o di sinistra non mi interessa perchè accadeva prima ed accade ora) legge su un quotidiano queste cose non si sente schifato? Ma ancora non abbiamo capito che l'uomo (soprattutto l'italiano) è uguale all'animale (e quante volte ci capita di dire che gli animali sono meglio degli uomini...)? Che senza un pò (diciamo un pò) della tanta auspicata...severità...non si trasformerà mai questo "Paese dei balocchi" in una nazione non dico perfetta, ma CIVILE....

LA SPESA CORRE E I FURBI VINCONO

di FRANCESCO GIAVAZZI (giornalista del Corriere della sera)

La Finanziaria non combatte sprechi e inefficienze

Il nostro Stato spende il 48,2% del Pil, quello inglese quattro punti di meno. E tuttavia quando si tratta di aiutare le famiglie è molto meno efficace. In Gran Bretagna prima dell’intervento di varie forme di assistenza pubblica, le famiglie a rischio di povertà sono 26 su 100: l’intervento dello Stato le riduce a 18. In Italia le famiglie vicine alla soglia di povertà sono un po’ meno, 22 anziché 26 (dati Eurostat, 2003), ma lo Stato riesce ad aiutarne solo 3. Anche la Francia fa meglio di noi: sposta 6 famiglie su 26. In Svezia lo Stato spende di più: il 56% del pil contro il 48,2% in Italia. Ma in Svezia lavorano 8 donne su 10, in Italia meno di 6. Se non ci sono i nidi, se mancano le residenze per anziani, se negli ospedali sono i parenti dei malati a dover supplire alla carenza di infermieri, non è sorprendente che le nostre donne abbiano poco tempo per «lavorare». E poiché più donne lavorano, lo Stato riesce a finanziare uno straordinario livello di spesa con aliquote relativamente basse. In una famiglia in cui lavorino in due l’aliquota media di una donna che guadagni quanto un uomo (in regime di tassazione separata) è 28% in Svezia, 39 in Italia (dati Ocse, 2001). Dove finisce allora tutto il denaro che spendono le nostre amministrazioni pubbliche, se non aiuta i poveri, né le donne che vorrebbero lavorare? Contando i dipendenti pubblici si scopre che quelli che lavorano negli ospedali, nella polizia, nelle forze armate, nell’amministrazione della giustizia, (incluse le carceri), nelle scuole e nell’università sono solo 76 ogni 100. Gli altri 24 sono impiegati altrove, in nessuna di queste attività essenziali. Romano Prodi è sorpreso per l’inusuale lunghezza della vertenza dei giornalisti per il rinnovo del contratto. Anziché sorprendersi dovrebbe fare una semplice riflessione. Se lo Stato continua a finanziare i giornali (anche quello su cui scrivo, che non ha certo bisogno di aiuti di Stato) è comprensibile che i giornalisti lottino duramente. Perché gli aiuti pubblici dovrebbero finire nelle tasche degli azionisti anziché nelle loro? Vi assicuro che se la Finanziaria avesse avuto il coraggio di cancellare gli aiuti (e le 150 persone che a Palazzo Chigi li amministrano) la vertenza non durerebbe tanto a lungo. All'Arsenale di Venezia «lavorano» molti marinai: il luogo è bello, il circolo ufficiali fa invidia ad un club londinese, ma il ministro della Difesa avrà la cortesia di spiegarci perché gli ozii di quei marinai debbano essere a carico dei contribuenti? La vera priorità della «Fase 2» di questo governo è l’eliminazione dell’inefficienza e delle situazioni di vero e proprio parassitismo che si annidano nelle amministrazioni pubbliche. Una battaglia in salita, perché è difficile fare il muso duro dopo aver approvato una Legge finanziaria che per accontentare un po’ tutti aumenta la spesa pubblica di circa 7 miliardi di euro (si vedano i conti di Tito Boeri e Pietro Garibaldi su la voce.info ). E perché è difficile controllare la spesa se, prima ancora di sedersi a discutere il nuovo contratto con i sindacati del pubblico impiego, si mette sul tavolo abbastanza denaro per aumenti delle retribuzioni pari al 5% (dopo cinque anni in cui le retribuzioni dei pubblici dipendenti sono cresciute il doppio rispetto a quelle dei dipendenti privati). «Se vogliamo uno Stato efficiente non possiamo assumere ope legis tutti i precari, ci vogliono criteri di selezione forti» dice il ministro Nicolais e aggiunge: «Ma le valutazioni non riguarderanno il singolo, bensì la struttura». Così furbi e fannulloni continueranno a farla franca a spese dei contribuenti e dei loro colleghi onesti.

14/12/2006

Io aggiungo: Come potranno diminuire le tasse se l'esempio non viene dall'alto? (dai governanti per intenderci).......

Niente canti di Natale. Turbano i bimbi mussulmani.

Bolzano, la decisione in un asilo frequentato anche da stranieri. Critiche dai due schieramenti.

di ANTONIO CASTALDO (giornalista del Corriere della sera)

A Natale niente "Tu scendi dalle stelle" per i piccoli allievi della scuola Casa del Bosco di Oltrisarco, quartiere multietnico di Bolzano.
Le maestre hanno deciso di rinunciare alla canzoncina che celebra la nascita del Bambinello per non urtare la sensibilità dei mussulmani. E lo hanno detto hai bambini.
Così è scoppiato il finimondo: critiche da tutte le parti, più o meno violenti ma unanimi. Il Direttore Didattico Gianfranco Cornella ha tentato una marcia indietro: <>.

14/12/2006

Una cosa del genere accade purtroppo in una nazione (paese dei balocchi ancora una volta...) dove le leggi non si comprendono, dove la Costituzione è quasi un utopia...Il Direttore Didattico non conferma se la canzoncina si farà o no, ma la cosa più triste è un altra.
Parliamo di tolleranza, di integrazione, ma alla fine siamo razzisti contro le nostre radici, la nostra cultura e tutto ciò non mi sembra giusto!!!

mercoledì 13 dicembre 2006

Il risultato di anni di clientelismo...

Alitassametro

Numeri alati. Un privato per comprare Alitalia dovrebbe tirare fuori due miliardi di euro. Alitalia vale zero. A fine gennaio i soldi per pagare gli stipendi saranno finiti. Ha 20.575 dipendenti, metà sarebbero già troppi. Una flotta di aerei da terzo mondo. La battono solo i Tupolev. Un amministratore delegato con DUEMILIONISETTECENTOMILA EURO di stipendio all’anno. Il più pagato in Europa nel settore. Guadagna sei volte in più del suo collega di Air France.Prodi vuol vendere. Ma chi compra? Le banche hanno messo le mani avanti. Cordero anche i piedi. L’Alitalia perde CINQUANTUNOMILA EURO all’ora. Fermiamo il tassametro. C’è una sola soluzione per mettere un tappo alle perdite: pagare due miliardi di euro Gheddafi perchè la compri. I dipendenti dovranno trasferirsi a Tunisi. Il loro trasferimento coatto dovrebbe essere vincolante per la validità del contratto. 20.575 bocche da sfamare in meno per lo Stato, un affare. Anche se ci costasse qualcosina.Rimane il problema Cimoli. Cosa fare di un manager così stimato sia da Prodi che da Berlusconi? Se un manager è pagato bene per quello che vale, lui è pagato moltissimo per quello che perde. Peccato che i soldi che ha perso siano nostri. Peccato che i soldi che guadagna provengano dalle nostre tasche. Lui non è il solo colpevole. E’ un capro, ma non il solo espiatorio. Ma fino a quando sta lì, con quello stipendio, con quei risultati, con quel sorriso compiaciuto non c’è speranza. Prodi se lo assuma come maggiordomo. Che poi è il motivo per cui è ancora lì. Aria, aria fresca. Ma cosa ci vuole?

Post ripreso dal blog: www.beppegrillo.it

VI PRESENTO IL PAESE DEI BALOCCHI!!!

QUESTA E' L'ITALIA.......IL PAESE DEI BALOCCHI!!!

Basta!

Parlamento pulito!

Basta! Parlamento pulito.

Chi è stato condannato in via definitiva non deve più sedere in Parlamento. E se la legge lo consente, va cambiata la legge.
Migliaia di sottoscrittori dell’appello lanciato da Beppe Grillo sul blog www.beppegrillo.it chiedono che i condannati in via definitiva non possano più rappresentare i cittadini in Parlamento, a partire da quello europeo.
E' profondamente immorale che sia loro consentito di rappresentarci.
Questo è l'elenco dei nomi dei rappresentanti italiani in Parlamento, nazionale o europeo, che hanno ricevuto una condanna:

I 25 CONDANNATI DEFINITIVI IN PARLAMENTO (Aggiornato a Giugno 2006)

- Berruti Massimo Maria (FI)
- Biondi Alfredo reato poi depenalizzato (FI)
- Bonsignore Vito (Udc - Parlamento Europeo)
- Borghezio Mario (Lega Nord - Parlamento Europeo)
- Bossi Umberto (Lega Nord - Parlamento Europeo)
- Cantoni Giampiero (FI)
- Carra Enzo (Margherita)
- Cirino Pomicino Paolo (Democrazia Cristiana - Partito Socialista)
- De Angelis Marcello (An)
- D'Elia Sergio (Rosa nel Pugno)
- Dell'Utri Marcello (FI)
- Del Pennino Antonio (FI)
- De Michelis Gianni (Nuovo Psi)
- Farina Daniele (Prc)
- Jannuzzi Lino (FI)
- La Malfa Giorgio (Pri)
- Maroni Roberto (Lega Nord)
- Mauro Giovanni (FI)
- Nania Domenico (An)
- Patriciello Aldo (Udc)
- Previti Cesare (FI)
- Sterpa Egidio (FI)
- Tomassini Antonio (FI)
- Visco Vincenzo (Ds)
- Vito Alfredo (FI)


Elenco delle condanne definitive a carico dei parlamentari

Da: Repubblica.it

Da: Repubblica.it

LONDRA - Per molti uffici, scuole e strade del Regno Unito, quello del 2006 sarà una Natale senza decorazioni, festeggiamenti e simboli natalizi. Il 74 per cento delle aziende private, annuncia un sondaggio pubblicato dai giornali inglesi, hanno deciso di vietare i tradizionali Christmas parties, le feste tra colleghi, impiegati, dipendenti di uno stesso ufficio, che si tengono solitamente tra il 20 e il 24 dicembre in tutto il paese. I presidi di numerose scuole hanno suggerito in una circolare agli insegnanti di non incoraggiare gli allievi a scambiarsi i biglietti e le cartoline con gli auguri di Natale. Varie città e cittadine, da Birmingham a Rotherham, hanno sostituito alberi di Natale, presepi e altre decorazioni con chiaro riferimento alla festività cristiana con più blandi simboli delle Winter Holidays, le vacanze «invernali». Perfino la Royal Mail, al momento di emettere come ogni anno una nuova serie di francobolli natalizi, ha abolito ogni riferimento al Natale cristiano, limitandosi a immagini di scoiattolini infreddoliti e fiocchi di neve.«E´ l´ultima follia del politicamente corretto», scriveva ieri il quotidiano Guardian, sostenendo che imprese private, autorità municipali e ministero dell´Istruzione sono preoccupati di offendere la sensibilità religiosa dei milioni di cittadini britannici che appartengono a un culto non cristiano, e per questo stanno gradualmente rinunciando a celebrare il proprio.Ci sono probabilmente anche altre ragioni. Alcune imprese, per esempio, citano i costi delle feste di Natale in ufficio e delle decorazioni natalizie: un taglio delle spese che, nelle aziende con molti dipendenti, finisce per essere non tanto piccolo. Certe scuole temono di essere citate in tribunale per discriminazione religiosa, specie dopo le polemiche che hanno accompagnato il licenziamento di una maestra, di religione islamica, che rifiutava di togliere il niqab (il velo che lascia scoperti soltanto gli occhi) in classe. Altri riconoscono che, dopo l´attentato nel metrò di Londra del luglio 2005 e di fronte ai continui allarmi terrorismo, è comunque preferibile evitare di suscitare discordia. E riguardo alle decorazioni luminose non manca chi sottolinea l´esigenza di un risparmio energetico. Ma l´ossessione del «multiculturalismo politicamente corretto» rappresenta probabilmente la motivazione principale: e qualcuno, davanti all´abolizione del Natale, comincia a dire che si esagera.«E´ semplicemente una sciocchezza», afferma Jack Straw, ex ministro degli Esteri e attuale ministro per i rapporti con il Parlamento. «Non conosco alcun cristiano che vorrebbe impedire agli ebrei di celebrare Yom Kippur o agli islamici di celebrare l´Id. Né penso che esistano musulmani che si risentono perché i cristiani celebrano il Natale». Dello stesso parere è anche il Forum Cristiano-Musulmano, un´associazione multiconfessionale creata dopo l´attentato del 2005: «Decisioni come quella di abolire le decorazioni natalizie portano acqua la mulino dell´estrema destra razzista e finiscono per ripercuotersi proprio contro i seguaci dell´Islam». Il dibattito si sta dunque scaldando. Intanto, il prossimo 25 dicembre, quando la Bbc trasmetterà gli auguri di Natale della regina, l´emittente privata Channel Four farà porgere gli auguri di Happy Christmas alla nazione da un´annunciatrice araba, col volto coperto dal niqab. Se sia una provocazione ironica, o una cosa seria, lo decideranno i telespettatori.

Come vi sentireste se un giorno di questi vi si presentassero a casa e vi dicessero:"Non festeggiare più il Natale!".Sarebbe come privarsi di una tradizione che da sempre siamo stati abituati a festeggiare. Ebbene questo è ciò che accade a Londra per paura di offendere coloro che da noi la pensano diversamente.Professiamo tanto la libertà di culto, ma poi non la pratichiamo per paura che gli altri ci si rivoltino contro. Chiediamoci però allo stesso tempo se mai un mussulmano sarebbe disposto a fare questo per noi, nel suo Paese, per paura di offenderci.Scusatemi ma credo proprio di no.

Risposta all'articolo di: Francesca L.

martedì 12 dicembre 2006

Premio Nobel per la pace 2006

Un uomo che muovendo le proprie idee insieme ad altri uomini ha creato ciò che per molti sarebbe stato impensabile...


Muhammad Yunus ha fondato in Bangladesh, nel 1976, la Grameen Bank.
Grameen è una banca rurale (grameen in bengalese significa contadino) che concede prestiti e supporto organizzativo ai più poveri, altrimenti esclusi dal sistema di credito tradizionale. Fino a oggi la banca ha concesso prestiti a più di 2 milioni di persone, il 94 per cento delle quali donne. Grameen ha attualmente 1.048 filiali ed è presente in 35.000 villaggi e in diverse città nel mondo. Grameen non solo presta denaro ai poveri ma è posseduta da questa stessa gente, che nel tempo è diventata azionista della banca. Fondata in Bangladesh , Grameen , è ora un modello anche per la Banca Mondiale.

Amina Ammajan era una mendicante del Bangladesh, vale a dire una delle persone più povere della terra. Vedova e madre di due figlie, era sul punto di morire nel 1976, quando la casa le crollò letteralmente sulla testa. Oggi sua figlia possiede la casa, un pezzettino di terra e del bestiame. Non è ricca, ma vive dignitosamente. La sua vita, come quella di milioni di altre persone, soprattutto donne, è cambiata completamente da quando ha incontrato Grameen, la banca del Bangladesh che teorizza e mette in pratica il credito ai derelitti: pochi soldi, dati a fronte di un progetto minimo e senza nessuna richiesta di garanzia. Ma con percentuali di restituzione che fanno invidia alle più solide banche tradizionali. E’ una storia a dir poco sorprendente quella raccontata dal libro di Muhammad Yunus, Il banchiere dei poveri appena uscito per Feltrinelli (£ 35.000, 268 pp.). Tutto comincia quando Yunus, un docente universitario di economia del Bengala laureatosi negli Stati Uniti, si mette in testa di cercare nuove strade per combattere la miseria disperata delle zone rurali del suo paese. Fin dalle prime incursioni sul campo, durante la terribile carestia del 1974, Yunus si rende conto che c’è una grande quantità di uomini e donne a cui non mancano né buona volontà né una forte capacità lavorativa, il cui destino è tuttavia senza speranza perché privi di uno strumento essenziale: un capitale, anche piccolissimo, con cui iniziare qualunque attività.
Così, in spregio a tutte le regole del mondo bancario di ogni tempo e latitudine, Yunus riesce a convincere una banca della sua regione ad aprire una linea di crediti minuscoli (i più alti superavano a malapena i venti dollari), riservati quasi esclusivamente alle donne, senza alcuna richiesta di garanzia e senza neppure la necessità di riempire un modulo (del resto, a che sarebbe servito? La maggior parte dei clienti era analfabeta). Il risultato è stato entusiasmante. Gli ultimi della terra a cui Grameen (che significa "rurale") concedeva un’opportunità, non solo mettevano in piedi attività redditizie della più diversa natura (dalla vendita di focacce alla fabbricazione di sgabelli in bambù, alla coltivazione di riso) che consentivano loro di sfuggire alla miseria e agli usurai, ma rimborsavano puntualmente i prestiti. Molto più di quanto facessero i clienti "normali" delle banche tradizionali.
Il motivo di questo comportamento è estremamente semplice secondo Yunus, che provò a spiegarlo così ad uno sbalordito direttore di banca, quando espose per la prima volta il suo progetto: "I più poveri dei poveri lavorano dodici ore al giorno; per guadagnarsi da mangiare devono vendere i loro prodotti. Non c’è ragione perché non vi rimborsino, soprattutto se vogliono avere un altro prestito che consenta loro di resistere un giorno di più. E’ la miglior garanzia che possiate mai avere: la loro vita!".
Insomma proprio la disperazione e la mancanza di alternative farebbero di un povero un creditore affidabile, assai più di un creditore comune. "Chi sta bene – argomenta il professore - non teme la legge e sa come manipolarla a proprio vantaggio". Il ragionamento è meno paradossale di quello che sembra se è vero, come spiega lo stesso Yunus, che nel suo paese ci sono banche la cui percentuale di recupero dei crediti non supera il 10 per cento e che la moratoria dei prestiti non rimborsati diventa regolarmente il più sicuro dei cavalli di battaglia in ogni campagna elettorale.
E’ facile immaginare quante resistenza abbia incontrato in una società tradizionalista come quella del Bangladesh questa iniziativa, che presupponeva, tra l’altro, l’emancipazione delle donne. Anzi, questo forse è l’aspetto più incredibile di tutta la storia. La filosofia del microcredito, infatti, imponeva di andare a cercare proprio gli ultimi, quelli che non avevano più speranza. E nella società del Bangladesh, così come in molti altri paesi asiatici o africani, non c’è nessuno che stia peggio di una vedova o di una donna abbandonata o semplicemente maltrattata dal marito. Ragion per cui, Yunus e i suoi sono andati in lungo e in largo per il Bangladesh, un paese musulmano molto tradizionalista in cui la separazione fra i sessi nella vita sociale è rigidamente osservata, cercando di convincere giovani donne terrorizzate ad accettare un prestito che avrebbero dovuto rimborsare a piccole rate ogni settimana. Inutile dire che le autorità religiose di ogni villaggio hanno cercato in tutti i modi di scoraggiare sia la banca che le sue possibili clienti. Eppure alla fine sono riusciti a spuntarla.
Oggi Grameen non solo è una banca indipendente importantissima nel Bangladesh, ma ha messo filiali in giro per il mondo, perfino nei paesi più ricchi. Il microcredito è praticato in cinquantasette nazioni, fra cui anche gli Stati Uniti, dove ne usufruiscono i poveri dei ghetti di Chicago. Come è stata possibile una crescita tanto spettacolare? Con una serie di regole ferree che hanno consentito ai suoi fautori di superare ogni volta difficoltà apparentemente insormontabili. Anzitutto la richiesta ai poveri di radunarsi in gruppetti di cinque persone al momento di ottenere un prestito, assumendo ciascuno la responsabilità anche per gli altri, per rafforzare l’impegno a rimborsare la sua somma. In secondo luogo, il meccanismo di rimborso. Anziché attendere tutto il rimborso dopo una lunga scadenza, Grameen chiede ai suoi clienti di restituire il denaro in piccolissime rate ogni settimana. "Il denaro - spiega ancora Yunus - è una sostanza adesiva, si attacca al suo possessore. Se il rimborso deve avvenire dopo sei mesi o un ano dalla concessione del prestito, anche se il debitore avrà in tasca il denaro proverà inevitabilmente un certo dispiacere a staccarsene. Il segreto consiste nelle brevi scadenze".
A queste regole nel rapporto con la banca se ne aggiungono altre che riguardano l’esistenza personale dei clienti (dall’istruzione dei figli alla pulizia delle case, fino agli esercizi ginnici negli incontri) e che fanno somigliare Grameen a un programma di vita più che a un’istituzione di credito. E questo è certamente l’aspetto meno attraente di tutta la sua vicenda. Yunus e i suoi si comportano, da questo punto di vista, come se la povertà richiedesse una riorganizzazione ex novo dell’esistenza delle persone, quasi che i poveri fossero bambini da prendere per mano. Tuttavia, di fronte alla tenacia e al coraggio del progetto del microcredito e soprattutto ai suoi risultati nella lotta alla povertà, una diffidenza del genere sarebbe forse un lusso che nessuno, fra i poveri della terra, capirebbe.

La verità sul petrolio nigeriano

Oggi mi è venuta un'idea (non sò forse difficile da realizzare..un utopia, ma boh...).
Sarebbe interessante se noi giovani (nè di destra e nè di sinistra e nè di centro, ma liberi) provassimo a creare pian piano un qualcosa di alternativo a ciò che vediamo e sentiamo nel mondo...nè un movimento global e nè un movimento no global, ma ragazzi che vogliono dir la loro senza peli sulla lingua e che si rendono conto (un esempio è leggere questo articolo pubblicato sul sito disinformazione.it dalla Randazzo) in che mondo viviamo e dove sicuramente non tutto ci viene detto o comunque detto, ma manipolato.
Che nè pensate?Muoviamo le idee, muoviamo le parole, ma creiamo concretezza....
Io ho letto Terzani, ed il contrario...ovvero la Fallaci....penso che bisognerebbe leggere tutto ciò che è possibile per creare una società più giusta, per muovere le idee...
L'articolo è stato pubblicato su "Rifondazione", ma io non sono nè di sinistra e nè di destra, ma uno convinto che l' Italia (questo paese dei balocchi) può attraverso una società di giovani che muove le proprie idee....migliorare, crescere, essere d'esempio.

A causa del rapimento di tre italiani, lo scorso 6 dicembre, i telegiornali hanno parlato della situazione nigeriana, ma senza far comprendere cosa sta accadendo veramente. Hanno parlato di un paese poverissimo, come se la povertà fosse una sorta di calamità naturale. Hanno detto che il paese è ricchissimo di petrolio e di gas, ma non hanno spiegato come mai un paese così ricco di risorse energetiche sia così povero. Molti documentari e articoli “informativi” sulla Nigeria (ad esempio la puntata di Leonardo andata in onda su Raitre l’8 dicembre), hanno parlato di estrema “arretratezza” del paese, inducendoci a pensare che essendo un paese africano non ha avuto lo “sviluppo” dell’Europa. La giornalista del programma Leonardo disse che: “esistono bande per la libertà della Nigeria, peccato che esse si mescolino con la comune criminalità”, facendo intendere che ciò che accade in Nigeria è dovuto alla criminalità comune. I media alimentano l’etnocentrismo europeo e il razzismo, pur di tenere nascosta la vera condizione dell’Africa.
La verità è che il popolo nigeriano è vessato da un sistema criminale che gli sottrae le ricchezze e lo priva delle condizioni minime di sopravvivenza. L’Agip partecipa attivamente a questo sistema criminale, pagando milizie paramilitari che non esitano ad uccidere civili. Nei nostri media fanno notizia soltanto i rapimenti di persone che lavorano nella struttura petrolifera, mentre le centinaia di vite spezzate dai paramilitari dell’Eni e delle altre Corporation non generano alcun interesse. Darne notizia farebbe emergere qualche dubbio sull’operato delle Corporation che si appropriano delle risorse dell’Africa. I media (quelle poche volte che danno notizie sull’Africa) parlano genericamente di “corruzione” dei governi africani, ma non approfondiscono mai il discorso. Se esistono corrotti devono per forza esistere anche i corruttori e le vittime. Nessun telegiornale dice che i corruttori sono le Corporation (anche l’Eni), e che le vittime sono le popolazioni, costrette a vivere in condizioni di miseria e di degrado a causa della corruzione. La Nigeria è il primo produttore di petrolio in Africa, e il sesto esportatore nel mondo, ma la maggior parte della popolazione vive in condizioni di estrema miseria. Oltre il 30% degli abitanti è analfabeta e la disoccupazione tocca livelli del 70%.
L’Agip agisce con metodi propri dei gangster (come le altre Corporation) e inventa persino false notizie per depistare e nascondere la verità. La giornalista Anna Pozzi si è interessata alla situazione dell’Agip in Nigeria e il 30 marzo del 2006 ha tenuto una conferenza all’Università Bicocca di Milano, dal titolo “Nigeria Petrolio e corruzione”. La Pozzi sostiene che l’Agip ha mentito quando il 20 marzo denunciò un sabotaggio. In realtà, come avrebbe chiarito il presidente dell'IYC (Ijaw Youth Council), Oyeinfie Jonjon, non si trattava affatto di sabotaggio o di un attentato, ma di un cedimento del vecchio oleodotto subacqueo dovuto alla mancanza di manutenzione. Il fatto causò la perdita di petrolio che contribuì a devastare le già malridotte condizioni ambientali. L’Agip cerca di incolpare i nigeriani persino dei problemi dovuti alla propria negligenza. Gli oleodotti stanno producendo un immenso inquinamento e le autorità dell’Agip vorrebbero scaricare la responsabilità su altri.
I lavoratori nigeriani morti a causa di incidenti sono assai numerosi. Alla fine degli anni Novanta si ebbero diversi incendi nei pozzi dell’Agip, con una quantità impressionante di persone arse vive, ma i media italiani non se ne occuparono.Il 21 giugno del 2005, le Comunità del Delta del Niger e i Friends of the Earth della Nigeria (Era) presentarono all’Alta Corte Federale della Nigeria una denuncia contro il governo nigeriano, contro la compagnia petrolifera di Stato (Nigerian National Petroleum Corporation-NNPC) e i suoi partners (Agip, Shell, Chevron, Esso e Total), per porre fine alla pratica altamente inquinante del gas flaring, ovvero la combustione in torcia del gas che fuoriesce dai pozzi petroliferi. Tale pratica, immette nell’atmosfera una quantità enorme di gas serre. Nel novembre del 2005, un giudice nigeriano dell’Alta Corte federale ha emesso un documento giudiziario che considera il gas flaring, come una tecnica che “va contro il diritto alla vita, alla salute e alla dignità”.
Nel 2004, l’Agip è stata esclusa dagli indici che indicano l’operato socialmente responsabile degli investitori (FTSE4Good), per aver demolito una bidonville dove vivevano 5.000 persone, rimaste senza casa. La costruzione degli oleodotti dell’Agip ha costretto diverse tribù, come gli Otari e gli Iyak a perdere le loro terre e a rimanere senza alcun mezzo di sostentamento. Le associazioni per i diritti umani denunciano una lista lunghissima di abusi e di crimini commessi dalle Corporation contro la popolazione nigeriana. Le notizie relative ai gruppi di nigeriani che lottano per cambiare la situazione sono assai frammentarie e confuse. Di sicuro le proteste e le sollevazioni popolari sono numerose, e ogni Corporation reprime con proprie milizie private. Le iniziative popolari di protesta sono diverse. Ad esempio, nel 2002, migliaia di donne delle comunità dello Ijaw, Itsekiri e Ilaje occuparono alcune strutture della ChevronTexaco per chiedere la fine dell’inquinamento e il risarcimento per i danni causati. Le donne furono represse duramente anche se riuscirono a negoziare poche concessioni.
Esistono anche gruppi di Resistenza indigena organizzata. Il gruppo militante più numeroso è quello dagli Ijaw, che da tempo cerca di trovare nuovi accordi con le Corporation, per ottenere una minima redistribuzione della ricchezza che deriva dalla vendita del greggio. Negli ultimi anni sono stati organizzati diversi sequestri di personale nigeriano, europeo e americano. Solo nel 2006, sono avvenuti i sequestri di almeno 60 persone straniere e nigeriane. Il rapimento dei tre italiani e di un libanese è avvenuto in seguito ad un attacco alla stazione di pompaggio dell'Agip nello stato di Bayelsa. Gli ostaggi sono lavoratori della Nigeria Agip oil company (Naoc), e sono stati catturati in seguito ad un conflitto a fuoco, in cui le milizie dell’Agip hanno aperto il fuoco e gli assalitori hanno risposto. Il sito dell’Agip rende noto che un libanese è rimasto ucciso, mentre tre italiani e un altro libanese sono stati presi in ostaggio.
Ogni caso di rapimento andrebbe analizzato per verificare se si tratta di bande che hanno scopi di estorsione oppure di tentativi della Resistenza indigena di negoziare. Quando chiedono il risarcimento per i danni ambientali o vogliono cambiare la situazione nigeriana chiedendo di limitare il potere delle Corporation (come nel recente caso dei tre ostaggi italiani), si tratta della Forza di volontari del popolo del Delta del Niger (Ndpvf) o di gruppi affini. Secondo fonti Misna, le autorità locali starebbero trattando con i rapitori, ma non si precisa se c’è l’intenzione da parte della Corporation di cedere alle richieste dei rapitori. Lo scopo dei rapimenti è anche quello di far parlare della situazione nigeriana. Si tratta di un metodo ingenuo se si pensa che le stesse persone che controllano le Corporation hanno il potere mediatico di manipolare le informazioni. Di sicuro, queste persone approfittano di questi fatti per criminalizzare gli indigeni attraverso i media occidentali. Quello che colpisce è che mentre di solito i giornalisti dei telegiornali corredano le notizie con interviste alla gente comune oppure alle autorità locali, quando si tratta dell’Africa non intervistano nessuno e si limitano a far vedere immagini di repertorio. Ciò avviene principalmente per non far capire qual è la vera situazione del paese. I media occidentali sono indotti a comportarsi come se il popolo africano non esistesse, e come se non vi fosse alcun governo locale. Il dramma è che davvero non esiste alcun vero governo (solo governi fantoccio), e che la vita degli africani viene considerata priva di valore.
Quasi tutti i sequestri si sono sempre risolti col rilascio degli ostaggi. Soltanto ad agosto e a novembre persero la vita un ostaggio nigeriano e un ostaggio britannico, durante non meglio precisati blitz delle forze governative. Oltre ai rapimenti vengono attuati anche attacchi alle stazioni petrolifere e sabotaggi. La Ndpvf è fra i movimenti più forti che lottano contro lo strapotere delle Corporation, e riunisce moltissimi giovani.Occorre essere prudenti nel valutare i gruppi della Resistenza, e considerare che in tutto il Terzo Mondo vengono creati dalle stesse Corporation falsi movimenti di resistenza, per terrorizzare la popolazione e screditare ogni lotta indigena.
Anche il governo nigeriano utilizza diversi metodi per indebolire la popolazione e costringerla a rassegnarsi all’ingiustizia e alla povertà. Il 19 giugno del 2003, si verificò un incidente terribile che provocò la morte di oltre 400 persone, nello stato di Abia (Nigeria meridionale). Il governatore della regione disse: “Questo non è un disastro. Questo è un caso di persone che stavano derubando il governo. E' terribile che esseri umani ne siano coinvolti... gente spinta dalla povertà. Ho avvertito i leaders tradizionali di questa regione di mettere in guardia [la popolazione]. Ma certo non si può biasimare gente affamata - possano le loro anime riposare in pace”.Colpisce la frase “stavano derubando il governo”, e l’ammissione che la popolazione vive in estrema povertà. I governi corrotti hanno la caratteristica di considerare il potere di governo come un’entità esterna al popolo, che tutto possiede e che tutto può gestire come vuole.
Quel giorno era accaduto che alcuni nigeriani, spinti dalla disperazione, avevano sottratto petrolio. In base alle testimonianze, alcune centinaia di persone stavano sottraendo carburante da un oleodotto che perdeva, all’improvviso, non si sa come, una scintilla ha provocato l’incendio. Il dubbio è che la falla sia stata aperta volontariamente. Diversi giorni prima, Innocent Ugoagha, un membro della tribù Amaokwe, aveva avvertito i responsabili del Consiglio di governo locale dell’esistenza della falla nell'oleodotto. Dopo il terribile incidente, il governo si è limitato ad istituire l’ennesimo corpo militare per arrestare chiunque fosse trovato con taniche di benzina. Secondo l’organizzazione Environmental Rights Action (Era), si tratta di tecniche per criminalizzare la popolazione: “Il disastro di Amaokwe si poteva evitare, invece le autorità di limitano a parlare di sabotaggio: criminalizzare la popolazione è una comoda scusa”.[1]
Oltre all’Agip, in Nigeria operano anche la Total, la Shell, la Exxon-Mobil, la Chevron-Texaco e la Statoil. Nessuna di queste Corporation, per quanto si sappia, è disposta a trattare con i nigeriani per migliorare la situazione di estrema iniquità. Preferiscono continuare ad utilizzare il terrorismo per impaurire la popolazione. Queste Corporation, hanno prodotto gravi scompensi nell’ambiente, spezzando irreversibilmente l’equilibrio dell’ecosistema, e mettendo in serio pericolo la sopravvivenza di molte tribù indigene. Tutte utilizzano in maniera strumentale la paura e l’insicurezza dei popoli africani, che sono un triste retaggio di epoca coloniale. Come spiega il premio Nobel nigeriano Wole Soyinka: “Esistono vere cause di paura… ma esiste anche una manipolazione della paura per promuovere azioni anche illegali, per persuadere la gente, limitarne le libertà, facendo del timore una parte integrante della vita conscia e inconscia. È un nemico occulto, la paura, un quasi-Stato, che non riconosce leggi e responsabilità”.